Ancora nessun accordo nella trattativa tra Grecia e creditori, con la deadline del 30 giugno che si fa sempre più vicina e la prospettiva di un default pure. In molti la agitano come uno scenario da incubo, dimenticando che finora la Germania ha registrato un numero di default più elevato di Atene. A ricordarlo è stata un’infografica di Bloomberg, da cui risulta che la Germania ha subito finora ben sette default, proprio come l’Austria, contro gli otto della Spagna, i sei del Portogallo e i soli cinque della Grecia. Per Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università degli Studi di Torino, «la Grecia è soltanto un diversivo per non parlare dei veri problemi, che condizionano molto di più la vita delle persone, come per esempio del Ttip (Trattato trans-atlantico sul commercio e gli investimenti), che è decisivo, ma per i media è finito nel dimenticatoio».



Professore, la trattativa sulla Grecia si trova ancora una volta a una battuta d’arresto…

Il vero problema non è la Grecia, bensì un’Europa che ha difficoltà a crescere, in quanto ha la moneta ma non uno Stato.

E allora perché si focalizza così tanto l’attenzione sulla Grecia?

Perché per i media bisogna sempre focalizzare l’attenzione su qualcosa, e la Grecia da questo punto di vista è un buon candidato. Sia il ministro delle Finanze, Varoufakis, sia il presidente del Consiglio, Tsipras, sono dei buoni soggetti mediatici. Quando un personaggio pubblico si presta a essere trasformato in caricatura come Varoufakis, i media non si lasciano certo scappare l’occasione.



Ma quindi la Grecia è un diversivo che magari a qualcuno fa anche comodo?

Sì. Abbiamo altre cose su cui nessuno sa bene che cosa fare e di cui nessuno parla.

Se la Grecia non paga, il 30 giugno scatta il default. Le sembra un problema da poco?

Il fatto che la Grecia non paghi non aziona immediatamente il default. Atene è indicata come “in ritardo”, ma nulla vieta che scattato il termine del 30 giugno si continui ancora a discutere.

Il mancato pagamento determinerebbe l’uscita dalla Grecia dall’euro?

Anche questo passaggio non è affatto immediato. L’uscita della Grecia dall’euro non può essere altro che il risultato di una deliberazione dei Paesi dell’Eurozona. Non può essere tra l’altro un fatto unilaterale, perché quando siamo entrati nell’euro ci siamo tutti detti che era un fatto irrevocabile. Per revocarlo devono quindi essere tutti d’accordo.



Quanto sarebbe grave uno scenario come il default?

Il default di uno Stato sovrano non è poi un fatto così eccezionale. È avvenuto per esempio in Russia nel 1998, quando il mercato dei cambi fu sospeso per un mese e il rublo sostanzialmente scomparve. Poi Mosca accettò i programmi di austerità, i pagamenti dei crediti furono prolungati e alla fine il Paese riuscì a risollevarsi. Pur essendo una patologia, il default è un fatto abbastanza comune.

Quali altri Stati di recente sono andati in default oltre a Russia e Argentina?

Di recente è successo a diversi Stati africani, ma lo stesso Mussolini nel 1940 al momento dell’entrata in guerra annunciò che non avrebbe pagato i debiti.

 

Quali conseguenze produce il default sulla vita dei cittadini?

Le conseguenze del default dipendono dalle misure che sono poi prese dal governo. Mentre in caso di uscita dall’euro, i prezzi dei beni d’importazione salirebbero vertiginosamente e i prodotti nazionali ne sarebbero avvantaggiati.

 

Lei prima ha detto che la Grecia è un diversivo. Quali questioni serve a nascondere?

Mi riferisco per esempio al Ttip (Trattato trans-atlantico sul commercio e gli investimenti), che non è un fatto mediatico e non è associabile a nessuna faccia, ma è molto più importante della Grecia ed è in grado di toccare da vicino la vita delle persone.

 

Lei è favorevole o contrario al Ttip?

Bisognerà vedere se saranno rispettate alcune nostre istanze, e in particolare se si riuscirà a trovare una soluzione sulla questione delle controversie commerciali. Gli Stati Uniti vogliono creare un tribunale indipendente, cui siano sottoposti sia le società sia gli Stati. I Paesi europei invece non lo accettano. Una volta superato questo tipo di problema, una trattativa sui marchi sarebbe tutta a nostro vantaggio.

 

Perché?

L’Italia, per esempio, ha già stretto un accordo con il Canada che sta funzionando molto bene. Se questi accordi fossero estesi, i nostri prodotti sarebbero garantiti e non imitabili, e non a caso negli Stati Uniti c’è molta opposizione.

 

(Pietro Vernizzi)

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