Un vecchio adagio recita “Senza soldi non si canta messa”, che di questi tempi vissuti in fretta e furia diventa “Al verde non si può far quel che ci spetta”. Ehi gente, non è una novità: ci spetta che, seppur affrancati dal bisogno, non ci si possa affrancare dal fare la spesa. Così, quando i redditi da lavoro che vengono rifilati non ricostituiscono il potere d’acquisto, anzi lo ammosciano, tocca cambiare registro. Sì, perché se la crescita si fa con la spesa e più se ne fa più si cresce non possiamo sottrarci dal dover rivedere proprio il registro della spesa prima di poter tornare al mercato.
Il Presidente di Confindustria Squinzi se ne avvede quando dice: “Ci hanno sollecitato ad investire di più, ma non possiamo investire se non c’è mercato”. Già, nell’altro registro, quello delle presenze, spiccano le assenze: i consumatori latitano, le imprese recalcitrano; sacrosante le ragioni economiche del loro dis-fare. Giust’appunto, tocca intercettare nuove convenienze per poter tornare a fare; cambiare registro, appunto.
Per le imprese si fa conveniente acquistare la domanda. Quando la liquidità, tenuta in cassa per fare investimenti, non trova adeguato remunero, toccherà investirla nel ridurre i prezzi per smaltire il già prodotto e poter riprodurre, lucrando pure il recupero della capacità competitiva.
Per i consumatori trasformare i beni di consumo posseduti in beni di investimento, per farne nuovi beni e intercettare nuovo reddito, si può. Magari proprio quelle merci di status a cui teniamo molto: la casa, l’auto, finanche la pelliccia. Mediante le innovazioni di processo, consentite dalle piattaforme web condivise, si trasforma una merce, magari sottoutilizzata, in un servizio per fare profitto. Chi lo offre, così rifocilla il potere d’acquisto per poter tornare al mercato, chi lo cerca pure.
“Airbnb” consente di affittare la casa, la stanza, addirittura il divano, a chi in vacanza vuole spendere meno. Con “Uber” si fa la stessa cosa, prendo a bordo chi in città va da qui a lì e vuol spendere poco. Con “BlaBlaCar” si fa lo stesso, ma fuori città. Nei siti che spacciano l’usato chi vuole, colpito da improvviso animalismo, può vendere quelle insopportabili pelli e pellicce che affollano il guardaroba. Quelle merci fanno per la seconda volta prezzo, senza impiego di nuove risorse, senza smaltimento; viene così generata nuova ricchezza, si intasca.
Bene, un siffatto nuovo fare di produttori che acquistano e consumatori che vendono, può riequilibrare il mercato e riportarci quella gente che ne era uscita. Ops, mi è parso di scorgere pure Squinzi.