Il potere deve trasformarsi in autorevolezza se vuole modificare il concreto svolgersi del mondo, ossia la vita reale. Le istituzioni hanno bisogno della leadership proprio per questo, perché la leadership è la capacità di trasformare il comando in esecuzione dell’ordine. Questa assenza di leadership è ciò che emerge nella vicenda greca con sconcertante evidenza e drammatica attualità.
La mancanza di leadership è quella della Germania, che indubbiamente possiede le chiavi del potere eurocratico, ma che – non solo oggi – si è rivelata incapace di trasformare il potere in decisione, quando tale potere non deve più essere potere di veto e di interdizione ma soprattutto di trasformazione. Siamo dinanzi a un interlocutore coraggioso ma minorenne a mani nude che non ha esperienza ed è incapace di orientarsi tra il meandri dell’euromondo: Tsipras e compagni. Ebbene: non lo si prende per mano, non lo si blandisce, non lo si illude di quel che è giusto e non lo si porta a poco a poco sulla via della conciliazione dell’accordo – se non salvifico – almeno benevolente. Juncker, vecchio campione del negoziato, è un maestro in quest’arte. Abbraccia e bacia Tsipras, il quale addirittura ci crede e stempera l’altezzoso suo ministro delle Finanze. Ma Juncker non ha il potere: ha solo un’autorevolezza disarmata e quindi non può fare un bel nulla se la Germania non decide. Ebbene: la signora Merkel è la vera sconfitta da questa trattativa.
Non ha saputo mediare rigore e ragione e così facendo ha aperto la via alle terre sconosciute evocate da Mario Draghi, il quale rimane l’ultimo demiurgo perché nel sonno della politica la finanza non può non avere l’ultima parola. Ma è una parola senza canto, senza armonia, è un grido disperato come quello delle Norne wagneriane: dopo il grido il nulla! E Tsipras con il referendum ha compiuto un errore gravissimo, dettato dall’inesperienza e dalla non comprensione della posta in gioco. E la posta in gioco era iniziare a cambiare l’Europa che ora sarà più difficile trasformare, perché la mossa del rifiuto negoziale per risolvere questioni interne di partito scatena di già l’orda dei risentimenti e degli egoismi che distruggeranno l’Europa.
Un’Europa assediata dal ribollire del terrorismo e dalla crisi del fianco sud della Nato e dalla rottura della tradizionale neutralità della Svezia e delle nazioni scandinave al nord per le convulsioni da isolamento crescente in cui si dibatte l’orso russo. Ecco qui un’altra crisi di leadership: parlo della crisi degli Usa, che dinanzi all’Ucraina e all’invasione della Crimea hanno perso la testa e comprendono solo la via del confronto aggressivo. Guai a parlare, a negoziare con i russi! Syriza l’ha fatto e deve esser punito!
Di qui il voltafaccia improvviso del Fondo monetario internazionale con madame Lagarde che da fata salvatrice si trasforma improvvisamente in strega cattiva, lasciando tutti di stucco e ferendo a morte il partito dei negoziatori.
Una doppia crisi di leadership che ci porta dritti alle terre sconosciute evocate da Mario Draghi, che non è né fata né strega, perché non è un mago: è l’ultima speranza.