Quale prospettive per il futuro dopo una riunione dell’Eurogruppo (da cui il ministro delle Finanze greco è stato invitato ad andarsene)? La Banca centrale europea ha deciso di continuare il programma di supporto straordinario alle banche greche. Sarebbe stato meglio farlo cessare. E sarebe bene anche che finisca la partecipazione della Grecia all’Unione europea. Al di là degli aspetti legalistici (cinque anni fa l’ufficio legale della Bce aveva emesso un parere secondo cui non si può uscire dall’area dell’euro e restare nell’Ue), già due anni fa, lo studio di Luigi Guiso Helios Herrera e Massimo Morelli, A Cultural Clash View of the EU Crisis, Cepr, aveva dimostrato che c’è un abisso tra la mentalità, le abitudini, le prassi, il modo stesso di intendere le regole dei greci e quelle di gran parte dei cittadini del resto dell’Ue.



La Grecia è entrata nell’Ue grazie a Pericle e a Byron. Gli uffici tecnici della Commissione europea avevano dato un parere negativo alla sua partecipazione all’unione monetaria, ma per ragioni puramente di immagine (ancora Pericle e Byron) il direttore generale dell’Eurostat è stato esautorato (salvo vincere, dopo sei anni, un ricorso alla Corte di giustizia europea) e la Grecia è stata ammessa nell’area dell’euro, godendo di tassi d’interesse che mai aveva immaginato. I negoziati che si protraggono dal 2009 (quando gli stessi greci ammisero di avere truccato i conti), e che si sono intensificati negli ultimi cinque mesi (in cui Tsipras e Varoufakis hanno dilapidato il piccolo capitale di simpatia che era stato loro dato), dimostrano che lo studio di Guiso, Herrera e Morelli aveva colpito a segno.



Per la Grecia e per i greci si annunciano tempi duri. Prendendo come parametro la fine del cambio fisso Argentina-Usa nel 2001, quando Buenos Aires non riuscì a pagare i propri debiti al Fondo monetario internazionale, ciò comportò una svalutazione massiccia, moti popolari, fallimenti di banche e di imprese. L’Argentina fu in grado di rimettersi in cammino sia perché dotata di enormi risorse naturali, ma anche perché il boom di Cina e Brasile innescarono una forte domanda di materie prime da lei prodotte. L’Argentina rimborsò il Fmi nel 2005 e tornò a ottenere prestiti sui mercati internazionali. La Grecia è in condizioni nettamente peggiori in quanto priva di una vera struttura produttiva e in grado di esportare appena il 12% del Pil. Avrebbe fatto meglio ad accettare gli aiuti, diventando, però, al tempo stesso una sorta di protettorato o amministrazione fiduciaria dell’Ue. È triste, ma, a questo punto, i greci se la possono prendere unicamente con i loro governanti (attuali e del recente passato).



Cosa potrebbe avvenire nel resto dell’unione monetaria e dell’Ue? Ci sono state, negli ultimi cinquant’anni, unioni monetarie che hanno perso alcuni Stati membri, senza troppo soffrire (anzi guadagnandone in coesione), e secondo un percorso coordinato e controllato. Dato che ciò non è avvenuto per la Grecia, è importante che l’Eurogruppo e la Bce adottino le misure di difesa per impedire “contagi”. Ciò vuol dire utilizzare il Quantitative easing e le Outright monetary transactions per bloccare la speculazione internazionale ove essa si accanisse contro questo o quello Stato. Gli strumenti esistono; è il momento di applicarli con sangue freddo.

È anche essenziale dare prova che non si cambia strada: l’euro resta irreversibile e uno. Ossia occorre evitare la creazione di un “nocciolo duro” di Germania, Austria e Benelux (con l’aggiunta di alcuni neocomunitari come le Repubbliche Baltiche, la Repubblica Ceca, la Slovenia) con quell’euro “aureo” (di prima classe) di cui si parla da tempo, relegando i Paesi mediterranei (e forse la Francia) in un euro di “seconda classe” collegato con il primo tramite un tasso di cambio moderatamente flessibile. Sarebbe la fine del mercato unico e forse della stessa Ue.

Il “rapporto dei quattro Presidenti”, uscito in questi giorni, rappresenta una buona base (chiuso, o almeno accantonato, il problema greco che ha distratto l’Ue per troppo tempo) per ripartire sul binario giusto con politiche e strategie mirate a competitività e produttività. 

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