“È indispensabile cogliere l’opportunità di innalzare il potenziale di crescita del Paese offerta da fattori molto favorevoli”. Lo afferma il Centro studi di Confindustria, secondo cui “l’incremento del Pil nel primo trimestre è stato più alto delle stime e rende possibile raggiungere nel 2015-16 risultati superiori alle previsioni prevalenti”. Secondo l’Istat, tra il quarto trimestre 2014 e il primo trimestre 2015 il Pil italiano è cresciuto dello 0,3%, e per l’Ocse raggiungerà il +0,6% entro fine anno. Sempre per l’Istat nel primo trimestre 2015 il numero di occupati è cresciuto dello 0,6%. Una performance comunque inferiore a quella di Germania, Spagna, Regno Unito e Francia, tanto che per il CsC “solo proseguendo lungo la strada delle riforme si potrà chiudere il divario di crescita e, soprattutto, aumentare sensibilmente occupazione e reddito degli italiani”. Ne abbiamo parlato con Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara.
Gli ultimi dati macroeconomici documentano che la crisi è alle spalle?
Nel primo trimestre 2015 c’è stato un aumento del Pil determinato da una ripresa degli investimenti, ma non c’è ancora una ripresa dei consumi. Non è un dettaglio di poco conto, perché i consumi sono la voce più importante della domanda interna. Se l’Istat ci dice che i consumi sono ancora in diminuzione dello 0,1%, non possiamo certo essere molto ottimistici sul fatto che la recessione sia terminata. Abbiamo interrotto la serie di diminuzioni del Pil, ma mi chiedo se riusciremo a consolidare questo dato quando arriveranno da pagare le tasse come la Tasi.
Come valuta l’andamento del Pil dal lato dell’offerta?
Se dal lato della domanda la crescita del Pil non è stata trainata dai consumi, dal lato dell’offerta non è stata trainata dall’industria. Il Pil cresce grazie all’agricoltura, cioè a un settore a basso valore aggiunto.
Resta il fatto che l’occupazione aumenta dello 0,6%. Come interpreta questo dato?
Rispetto all’occupazione c’è un grande balletto di cifre. Stiamo giocando con i decimali, proprio come nella Germania post-riunificazione per dimostrare che le riforme stavano producendo gli effetti sperati. Si parte cioè da un punto di minimo assoluto e poi si dice che c’è una ripresa. La verità però è che stiamo ripartendo da un livello del reddito nazionale che comunque è tornato indietro di parecchio.
Di quali livelli di crescita ci sarebbe bisogno per recuperare?
Affinché i nostri figli possano avere un tenore di vita paragonabile a quello che noi avevamo nel 1997 bisognerebbe che per i prossimi 10-15 anni l’Italia crescesse del 3% annuo. Siamo invece al +0,6% quest’anno e al +1,5% l’anno prossimo. È evidente che ancora non ci siamo.
Una maggiore crescita si ottiene con le riforme, come auspicato da Confindustria?
Le riforme non servono a ottenere maggior crescita. Lo scrivono nei loro lavori scientifici gli stessi studiosi che ce le consigliano come Francesco Giavazzi, editorialista del Corriere, e Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario. In un loro studio si dimostra che il calo della quota salari nei Paesi europei, e in particolare in Italia, è determinato proprio dalle riforme che dal 1997 in poi hanno liberalizzato il mercato del lavoro. Si afferma anche che nel breve periodo le riforme creano più disoccupazione e meno salario.
Questi effetti negativi sono prodotti solo nel breve termine o anche nel lungo?
Nel lungo periodo si può discutere. Mi domando però quanto sia coscienzioso come economista chi propone scientemente una politica che nell’immediato aggrava la situazione, proprio mentre ci troviamo in una situazione di emergenza perché c’è una forte crisi di domanda. Le stesse persone che nei loro lavori scientifici definiscono come nefaste determinate ricette, poi di fronte all’opinione pubblica dicono che le stesse ricette devono assolutamente essere applicate. Con effetti addirittura paradossali…
Quali?
L’altro giorno, intervenendo ad Agorà su Raitre, un responsabile di Confcommercio ha detto: “In Italia i salari reali sono troppo alti ed è necessario tagliarli”. Detto da un rappresentante dei commercianti è assurdo, in quanto in Italia abbiamo un problema di consumi e un taglio dei redditi disponibili li ridurrebbe ulteriormente.
Da dove vengono queste teorie che lei definisce assurde?
Il problema è che per ripristinare una situazione di equilibrio nei conti all’interno dell’area euro, se non si può contare sulla rivalutazione nei Paesi forti bisogna farlo grazie al taglio dei salari nei Paesi deboli.
È d’accordo con la Costituzione di una bad bank italiana per risolvere i problemi dei clienti in sofferenza?
Quello dei crediti in sofferenza non è un problema nuovo, ma un bubbone che è stato lasciato crescere. Il dibattito sulla bad bank invece non è ancora iniziato, ma si tratta di proposte sotterranee. Il problema è sempre quello di capire chi ci mette i soldi e in che modo questo progetto si rifletterà sulle tasche del contribuente. Nel momento in cui queste proposte sono avanzate al di fuori di un dibattito serio e trasparente, personalmente mi preoccupo.
(Pietro Vernizzi)