La maggioranza dei greci (il 36%) ha deciso di votare Syriza non tanto perché fosse convinta che avrebbe soddisfatto alcune “richieste insoddisfatte”, o perché si era creata una diversa identità collettiva intorno alla leadership che la rappresentava, quanto piuttosto per la ragione opposta: perché questa decisione ha permesso di disidentificarsi, di abbandonare le leadership (prima i socialisti, poi i conservatori) che fino a quel momento avevano preteso di rappresentarli. Sarà, forse, per questa ragione che la maggioranza dei greci è ancora contraria all’uscita dall’euro (79%) e a favore di una chiusura dell’accordo con i creditori (47%). Ed è forse per la stessa ragione che le giuste e puntuali critiche mosse ad Alexis Tsipras, nel corso del dibattito in Parlamento di venerdì sera, dal duo Samaras e Venizelos, che ha governato negli ultimi anni, non hanno fatto presa sull’opinione pubblica. Più che le loro argomentazioni contano i personaggi che i due hanno rappresentato: quando parlano non vengono ascoltati, anzi vengono coperti da male parole. Dall’altra parte Syriza si è illusa di poter soddisfare le “richieste insoddisfatte” con una formula che non aveva alcun rapporto con la realtà economica della Grecia e con la realtà politica europea. 



Ormai il “mandato popolare” citato dal governo e dai parlamentari “syrizei” ha cambiato pelle, diventando un feticcio. Altre parole invece hanno però il loro senso politico per la frequenza con cui sono state rivedute o smentite, oppure si sono consumate per il troppo uso oppure. Resta costante invece la strategia del governo: buttare la palla nell’area dei creditori.



Venerdì sera, appunto, con un discorso, rivolto alle forze politiche e al “popolo”, Alexis Tsipras non si è smentito. “Sono ottenebrati coloro che pensano che punire la Grecia farà del male solo a noi”. “La proposta di accordo presentata dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker è stata una brutta sorpresa. Spero che i creditori ritirino la loro proposta perché non è realistica. Nella trattativa ci sono ancora distanze tra Grecia e creditori, ma siamo molto vicini a un accordo”.

Secondo le sue previsioni, la Grecia è all’ultima fase del negoziato con i creditori. ”La decisione di ieri di trasferire i pagamenti al Fmi alla fine del mese – sostiene Tsipras – dimostra che nessuno vuole la rottura”. Eppure il giorno prima da Bruxelles lo stesso primo ministro aveva assicurato che la rata di 301 milioni sarebbe stata pagata. Al ritorno ad Atene è cambiata la strategia del governo, il quale, sotto pressione dei duri e puri, ha scelto la linea dell’avvertimento: attenzione siamo disposti alla “rottura”. Nelle stesse ore si consumava l’ennesimo accanimento sui titoli bancari che hanno segnato una perdita media del 10%, con l’indice di Borsa che ha perso il 4,96%. 



Comunque, per un accordo “sostenibile” Tsipras crede che “non sia importante il pacchetto di misure, quanto che si ponga fine al circolo vizioso della recessione”. Inoltre, il governo ellenico chiede una soluzione definitiva al problema del debito che metta fine allo scenario di Grexit. Lo ha detto il premier Alexis Tsipras in Parlamento, aggiungendo che i greci non vogliono che l’esecutivo ceda a ricatti.

Il primo ministro ha quindi elencato i sei punti della strategia del governo: 1) riduzione del surplus primario; 2) ristrutturazione del debito; 3) protezione di stipendi e pensioni; 4) redistribuzione del reddito a favore della maggioranza della società; 5) ripristino della contrattazione collettiva; 6) un programma di investimenti.

In ragione del delicato momento, ci si aspettava un discorso di “alto profilo” politico. Ma Tsipras deve ancora dimostrare di essere un oratore (o quantomeno avvalersi di un ghost-writer che abbia maggiore destrezza comunicativa), al pari dei due storici avversari ancora sulla piazza, Samaras e Venizelos. I due, nei loro interventi, hanno mosso critiche puntuali al governo, e hanno ribadito il loro “no” a una possibile convergenza di opinioni con il governo sul tema della trattative. Entrambi hanno preannunciato un terzo Memorandum. E Tsipras di rimando: “Questo governo non firmerà un nuovo Memorandum”.

Lo scontro era scontato, stando alla tradizione del Parlamento ellenico. Tsipras, poco prima, rivolto all’opposizione aveva affermato: ”Difenderemo fino in fondo il diritto della nostra gente a vivere con dignità. È venuto il momento che ciascuno, inclusa l’opposizione, si comporti con responsabilità, vi esorto a sostenere i nostri sforzi”. Sempre Tsipras, rivolgendosi ai creditori, ha dichiarato che la bozza su cui discutere deve essere la proposta ellenica inviata a Berlino una settimana fa, proposta che era la “summa” dei colloqui del “Brussels Group”: 47 pagine che contengono alcuni superamenti della “linea rossa”, tante tasse e tanti tagli, a esclusione di riduzione delle pensioni e delle modifiche dei rapporti di lavoro. 

Sempre venerdì, mentre Alexis Tsipras parlava al telefono di Putin su problemi di interesse comune (ma il suo ministro delle Finanze dichiarava che la Grecia doveva trovare un accordo con i partner europei), è circolata la voce che il capofila dei fautori della rottura e lo spiegamento delle vele verso un radioso futuro extra-europeo, Panagiotis Lafazanis, avrebbe sostenuto che la “bozza 47”, quella ellenica per intenderci, era una buona base per discutere con gli europei. Molti hanno tirato un sospiro di sollievo, pensando che il governo sarebbe stato più compatto. Dichiarazione subito smentita. Anzi, “il governo deve passare all’attacco”, perché “ogni arretramento che fa il governo, e ne ha fatti parecchi, in contrasto con le sue dichiarazioni programmatiche, anziché portarci più vicino ad un accordo stimolano l’appetito delle istituzioni”. E, secondo Lafazanis, quella dei creditori una “miserabile tattica macchiavellica”.

A questo punto dell’euro-dramma, la Grecia sta vivendo una fase di transizione, magari fino a settembre con un ulteriore prolungamento dell’attuale programma di assistenza come stanno pensando i creditori, oppure si sta incamminando su un sentiero inesplorato. Comunque vada a finire, il Paese deve essere rifondato dalle fondamenta, deve ristrutturare la sua economia. E questa rifondazione, magari accompagnata da un leader con un forte carisma, avverrà in maniera dolorosa e traumatica. Purtroppo, sono in pochi che lo hanno intuito.

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