C’era un tempo ormai lontano – era il dicembre 1996 – quando il presidente della Fed, Alan Greenspan, poteva permettersi di giudicare i mercati e di avvertire pubblicamente il parlamento sovrano del dollaro che le Borse gli sembravano preda di “un’esuberanza irrazionale”. Quasi vent’anni dopo l’89enne Greenspan è un grande accusato – se non un condannato davanti al tribunale storico del passato prossimo – per la politica monetaria fra lo scoppio della bolla tecnologica e gli scrolloni successivi all’11 settembre e il ben più grave collasso di banche e mercati nel 2008.
Certamente non gli si può rimproverare di non aver marcato con un’espressione passata agli annali, un passaggio fra una fase economico-finanziaria controllabile dagli strumenti analitici e operativi a disposizione del maggior banchiere centrale del mondo e una fase nuova: in cui la dimensione e la complessità funzionale dei mercati diventavano meno facilmente riconducibili alle categorie di razionalità elaborabili da una Fed.
Anche in questi giorni – e dopo anni di turbolenze e aggiustamenti traumatici in economie e mercati – la “razionalità fondamentale” di quanti analizzano i mercati è messa a dura prova. Ma stavolta il contributo delle autorità monetarie (governi, banche centrali, istituzioni sovrannazionali) non contribuisce a far chiarezza. Nel frattempo tanti analisti si ostinano a cercare una razionalità spesso assente, anzi: spesso evidente nella sua assenza. E troppi travestono da sapiente uso della teoria dei giochi quello che la storia mostrerà essere semplicissimo vuoto comportamentale.
I tassi del Bund che schizzano da sotto zero fin quasi all’1% reagiscono ad almeno due situazioni: l’ormai quasi “eterno” rischio-Grecia sull’euro e il fulmineo passaggio dal rischio-deflazione a un nuovo rischio-inflazione nella stessa area euro. La prima situazione – sottolineata sul Corriere della Sera da Francesco Giavazzi – è il protrarsi della crisi greca da oltre cinque anni. Qualcuno ha il coraggio di dire che la Grecia può uscire dall’euro in maniera ordinata, “razionale”? Qualcuno riesce ad argomentare che – forse – la Grecia deve uscire dall’euro con potenziali effetti positivi sia per l’eurozona che per la Grecia? Tutti siamo convinti che la classe dirigente greca – a cominciare dal premier Alexis Tsipras – sia a metà fra lo sprovveduto e il disperato, ma il governo tedesco non sembra meglio attrezzato a gestire con l’autorevolezza del Paese locomotiva-d’Europa una situazione oggettivamente difficile, ma non irrisolvibile.
A proposito di scenari macro, anche al di là dell’Atlantico non sembrano passarsela meglio. In Europa il governo tedesco decide – overnight – di emettere Bund indicizzati all’inflazione (+0,3%), mentre la Bce di Mario Draghi si affanna già a smentire un ripensamento sul Quantitative easing nell’eurozona fino al settembre 2016. Ma a Washington il Fondo monetario internazionale si è preso la libertà di avvertire il Tesoro Usa e la Fed che forse non è ancora il momento per un rialzo dei tassi.
Il Fondo – che ha sede nella capitale Usa, non lontano dal Tesoro americano – ha una governance tradizionalmente dominata dagli Usa: è il director americano a proporre il nome del direttore generale, tradizionalmente un europeo come l’attuale (la francese Christine Lagarde). Ora che “razionalità” ha che proprio il Fondo aggiunga ulteriore incertezza allo stop and go comunicativo della Fed di Janet Yellen? La “ripresa in America” è stato a lungo un raro punto fermo di mercati molto più preoccupati che “esuberanti”. Ora la ripresa – che in vaste aree dell’eurozona non c’è ancora – non c’è più neppure negli States?
Nel frattempo, tutti (autorità comprese) corrono dietro al pallone, commettendo falli su falli, senza andare naturalmente mai in gol. Ma questo accade tipicamente sui campetti parrocchiali, non in Champions League.