È difficile prevedere se alla fine del Consiglio europeo (in corso mentre scrivo questa nota) ci sarà un’intesa per l’inizio di un negoziato tra la Grecia e il resto dell’Unione europea. Gli auspici non sembrano favorevoli. Il Presidente dei Ministri economici e finanziari dell’area dell’euro, Jeroen Dijsselbloem, ha fatto dichiarazioni pessimistiche. Il Ministro Pier Carlo Padoan ha avvertito che perché si riprenda il negoziato la Grecia deve assumere misure concrete e drastiche già questa mattina.



Nonostante quanto affermino Tsipras, Hollande e Renzi – secondo cui “l’accordo sarebbe dietro la porta” – un accordo non è il tema all’ordine di giorno della riunione che sarebbe dovuta iniziare alle 11 di mattina, ma è stato ritenuto essenziale farla precedere da una sessione dei Ministri delle Finanze dei 19 Stati appartenenti all’eurozona (l’Eurogruppo), il cui rapporto (riservato) ai Capi di Stato e di Governo esplora varie alternative. È utile precisare che, senza contare la Grecia, oggi tra i Paesi dell’Ue unicamente la Francia pare premere con molto calore perché si faccia un’intesa. La stessa “buonista” Italia ha raffreddato il proprio ardimento quando ha visto il costo dei finanziamenti richiesti da Atene, in termini di nuovi aiuti – in aggiunta a un’imprecisata riduzione del debito.



Renzi, al quale Tsipras in questi mesi si è raramente rivolto (nella convinzione che conta poco nell’agone europeo e internazionale), spera, nel caso che i prolegomeni portino a una trattativa, di poterne prendere parte del merito, almeno in termini di immagine (che i sondaggi danno per molto sbiadita). Potrebbe essere la “sua” Monaco – la breve e fragile intesa negoziata da Mussolini il 28 1938 tra Germania, Francia e Gran Bretagna. È utile ricordare che tutti gli Stati dell’Eurozona a basso reddito pro-capite (Repubbliche Baltiche, Slovacchia, Slovenia, Portogallo) si chiedono, ormai a voce alta, perché la Grecia abbia un trattamento apertamente di favore rispetto a loro e ai loro cittadini. Se le richieste greche vengono accontentate, l’Ue diventerà un club non di solidarietà, ma di battibecchi su chi fa le scarpe agli altri.



Anche ove i prolegomeni portassero all’inizio di un negoziato, l’aspetto essenziale è se, in attesa di un accordo, la Banca centrale europea verrà autorizzata ad aprire i rubinetti “eccezionali del credito”; altrimenti, quel che resta del sistema produttivo greco finirebbe di crollare come documentano le corrispondenze da Atene su questa testata, con impatti indubbiamente severi su un Governo che ha ereditato una Grecia in crescita (di circa l’1% l’anno) e l’ha riportata in recessione. Per l’eventuale trattativa, Atene dovrebbe essere governata da una “grande coalizione”, da auspicare solida e competente.

Anche ove si giungesse a negoziati e a un documento concordato e chiamato “accordo”, tutti sembrano aver dimenticato La Guerre de Troie n’aura pas lieu di Jean Giraudoux, in cui il conflitto immortalato da Omero scoppia, per un’inezia, poche ore dopo le celebrazioni del trattato di pace con cui si rendeva Elena a Menelao (il quale, pur di evitare la guerra, si sarebbe pure grattato le corna).

Mentre i “grandi” affrontano questi temi, occorre porsi due domande: a) perché, dopo mesi di trattative includenti e contrassegnate non dalla furbizia di Ulisse (sempre per tornare a Omero), ma da un gruppetto di “furbetti del quartierino” guidato da Tsipras, si tenta di riaprire un negoziato che per cinque mesi ha avuto un costo elevatissimo poiché ha distratto l’Ue da temi molto più importanti; b) se si giunge un accordo, quanto costa e chi paga? Non mi chiedo quanto dura perché l’esperienza degli ultimi anni insegna che avrà breve vita.

Si tenta di riaprire il negoziato per due ragioni. Da un lato, sotto il profilo giuridico, come spiegato più volte su questa testata, il Trattato di Lisbona non prevede la possibilità di uscire dall’Unione monetaria; si può uscire dall’Ue se lo Stato interessato lo chiede, dopo una procedura molto complessa. Si potrebbe spingere la Grecia a chiederlo, togliendole la linfa vitale (il credito d’emergenza che la tiene in vita) e The Economist in edicola illustra i dettagli di possibili percorsi perché la Grecia esca dell’euro (e dall’Ue). Ragioni geopolitiche lo sconsigliano. Questa è la seconda delle due determinanti (quella che ha fatto scendere in campo il Dipartimento di Stato Usa).

In breve, tra i Paesi Nato, la Grecia è uno di quelli che spendono di più per le forze armate in percentuale del Pil. Gli Stati Uniti sono preoccupati non tanto della Grecia come difensore del fianco orientale della Nato, quanto di un ceto militare molto differente da quello che fece il colpo di Stato filo occidentale della primavera 1967. Oggi ufficiali e truppe potrebbero essere definiti nasseriani: nazionalisti, ma anche social-fascisti o peronisti vicini a Syriza quanto ad Alba Dorata. Avere un regime del genere nel cuore del Mediterraneo è ipotesi da fare tremare. Meglio il diavolo che si conosce (Tsipras) che quello di cui abbiamo solo un’idea dei lineamenti (i generali). Se non arriva la paga, la rivolta e il colpo di Stato sono assicurati. È anche certo che le “istituzioni” e i creditori (tra cui il Tesoro italiano) verranno mostrati come gli affamatori del popolo e dei soldati della Grecia. Con implicazioni molto fosche per alleanze. Lo stesso Putin che, sinora, si è tenuto alla larga da Tsipras, potrebbe abbracciarlo con ricadute di rilievo, quanto meno in termini di provvista di oli minerali.

È difficile dire quanto costerà un eventuale accordo. La Grecia ha chiesto un’ottantina di miliardi di euro (esattamente 74, richiesta elaborata con il supporto tecnico di una squadra del Ministero dell’Economia e delle Finanze francese su istruzioni di Hollande); dovrebbero servire essenzialmente a fare fronte alla scadenza con la Bce e a quelle, ormai pregresse, con il Fondo monetario internazionale. A questa cifra, occorre aggiungere una “tosatura” del debito di cui non sono state precisati né la quantità, né le modalità. In caso di nuovi negoziati e di accordo, l’Italia e gli italiani deve mettere una croce su almeno 10-15 miliardi di euro già concessi alla Grecia e considerare eventuali nuovi finanziamenti a fondo perduto. Secondo il Fmi, ci vorrà un piano decennale che costerà 50 miliardi solo per i primi tre anni. È auspicabile che l’Italia faccia presente i problemi della nostra economia (e di un Mezzogiorno che “sta molto peggio” della Grecia) prima di essere troppo generosa.

È certo, infatti, chi pagherà: i contribuenti degli Stati che improvvidamente firmarono i due precedenti accordi con i quali si accollavano i crediti concessi ad Atene da grandi banche internazionali, in prevalenza britanniche, francesi e tedesche. Alla prossima stretta tributaria o riduzione delle pensioni, sappiamo con chi prendercela. Il tanto loquace Matteo Renzi tace: come detto in apertura di questa nota, Tsipras si rivolge, comunque ad altri, mai a lui. Probabilmente, è imbarazzato.

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