La Grecia resta in bilico. Chi vuole tenerla nell’euro, in particolare Francia e Italia, teme che l’uscita mini l’Eurozona e che per rafforzarla la Germania pretenda l’applicazione di una combinazione tra riforme di efficienza (taglio di spesa e tasse) e rigore (pareggio di bilancio) che i governi di Francia e Italia stesse, pur il secondo più riformatore, non avrebbero il consenso per attuare. Chi vorrebbe farla uscire, Germania e altri, la ritiene incapace di darsi ordine e un modello efficiente. Infatti, la proposta tedesca di convincere Atene a star fuori dall’euro per 5 anni ha certa base logica: con una moneta svalutata l’economia greca sarebbe più competitiva; il ritorno alla sovranità monetaria permetterebbe di stampare soldi per pagare pensioni e stipendi e riempire nuovamente le banche; se fuori dall’Eurozona, ma dentro l’Ue, Bruxelles potrebbe attivare aiuti per lo sviluppo che sono vietati ai membri dell’Eurozona stessa.



La mia opinione è che Atene dovrebbe accettare una tale uscita assistita per salvare la sua popolazione, considerando che un voto democratico contrario alle euroregole implica il ritorno alla sovranità monetaria. Ma hanno solidità anche le argomentazioni per tenere la Grecia nell’Eurozona. Se va fuori ci resterà più a lungo di 5 anni perché non basterebbero per rimetterla in ordine e ciò porterebbe al problema di come gestire una nazione umiliata con diritto di veto entro l’Ue.



La divergenza dall’Europa, come già successo per la Turchia, indebolirebbe l’appartenenza di Atene alla Nato e incentiverebbe la Grecia a farsi assorbire dalla Russia, motivo per cui l’America preme affinché resti nell’euro a qualsiasi costo. L’evidenza della reversibilità dell’euro potrebbe scatenare un effetto domino che romperebbe l’Europa. Pur preferendo l’uscita della Grecia dall’Eurozona devo riconoscere che in effetti i rischi sistemici sarebbero eccessivi. Lo stesso pensiero, probabilmente, è condiviso dagli eurogoverni e ciò rende probabile uno scenario, alla fine, euroinclusivo della Grecia.



Ma, se così, almeno la pressione europea porti a un nuovo governo in Grecia, precorso da uno di unità nazionale, affinché venga punito l’avventurismo di partiti irrazionali. Alla fine del 2014 la Grecia guidata da un governo euroconvergente era in crescita e proiettata a una crescita del 3% nel 2015, come la Spagna oggi. A metà 2015, dopo sei mesi di governo eurodivergente e statalista, la Grecia ha già perso il 4% del Pil. Sarebbe anche un favore ai greci impoveriti che Tsipras uscisse: se lui fuori, allora Grecia dentro.

 

www.carlopelanda.com