«O la zona euro diventa l’embrione di un’Europa autenticamente unita, o finirà per deflagrare come avviene alle stelle morenti. Austerità e deflazione non solo non sono in grado di risolvere le disuguaglianze all’interno dell’unione, ma stanno provocando e continueranno a provocare solo dei danni permanenti». È il commento di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ieri il piano di riforme è approdato nel Parlamento di Atene, provocando polemiche e spaccature e le stesse dimissioni del viceministro delle Finanze, Nantia Valavani.



Qual è la logica che ha portato a imporre alla Grecia un piano quasi irrealizzabile?

È una logica fondamentalmente politica che intende i rapporti tra Europa e Grecia come una sorta di resa dei conti.

Una resa dei conti per il fatto che Tsipras ha sfidato Bruxelles con il referendum?

Sì. Il grande errore, ma anche la stessa virtù di Tsipras è stato il fatto di portare alla luce un problema strutturale di Unione europea ed euro. Carlo Azeglio Ciampi ha pubblicato un libro dal titolo “Non è il Paese che sognavo”. Se mi è consentito il paragone, potrei dire che questa “non è l’Europa che sognavo”. Questa vicenda marca in modo irreversibile una stagione europea “prima della Grecia” e “dopo la Grecia”. Per quanto riguarda l’euro, ciò crea problemi che incominciano solo adesso.



Che cosa potrebbe succedere?

Il primo dato da cui partire è che l’euro è definitivamente una moneta che non può essere messa sullo stesso piano del dollaro. Gli Stati Uniti non butterebbero fuori il Wyoming dal dollaro perché è in disavanzo. Le origini ideali dell’Europa in questo momento sono derise.

In che senso?

Non posso non ricordare che l’origine principale di questo generoso sforzo europeo è stata finora la pace. Le generazioni che si sono succedute dopo il 1945, con l’eccezione della Yugoslavia, non hanno conosciuto la guerra. Questo non va mai dimenticato, perché la pace è un bene pubblico prezioso.



Perché l’euro non può stare sullo stesso piano del dollaro?

È evidente che l’euro è una moneta che non ha dietro istituzioni altrettanto forti di quelle americane. Possiamo dimenticarcene per un po’, ma alla fine questo problema centrale non potrà non venire a galla. Un merito forse involontario della crisi greca è proprio questo. Potrebbe cioè convincere l’Europa ad andare in una direzione costruttiva, oppure a un certo punto qualcuno dirà che il re è nudo.

In che modo concretamente verrà fuori che il re è nudo?

In Europa gli squilibri esistono, soprattutto nell’area euro. Finora si è ritenuto di poter sanare questi squilibri con la politica di austerità. Il risultato è stato un aumento drammatico della disoccupazione in numerosi Paesi, inclusa la stessa Finlandia, e una crescita anemica. L’Europa è un’area quindi in cui non solo chi sta dietro non converge con chi sta davanti, ma anzi dove chi era davanti finisce per arretrare. Ma in questo modo l’Europa si distrugge.

La conseguenza sarà che salterà l’Unione europea o l’euro?

Voglio sperare in tutti i modi che l’Ue continui a esistere. Va anche aggiunto che l’Ue si è allargata in un modo poco attento ai tempi attraverso cui avvengono le integrazioni culturali oltre che economiche. L’euro è stato in origine la costruzione con cui si è ritenuto che l’economia potesse fare breccia sulla politica, laddove la politica non era in grado di fare i passi necessari verso un’unità. Non si tratta di regalare soldi, bensì di dire: “Siamo europei”. L’esito della crisi greca è che oggi siamo un po’ meno europei di prima.

 

E quindi l’euro ha i giorni contati?

No, ci mancherebbe altro. I tempi della storia sono lunghi ma inesorabili. Se il divario che si è ormai creato all’interno dell’Eurozona si ritiene che possa essere sanato con politiche di austerità o deflazione, ciò produrrà solo dei danni permanenti come già sta provocando. O la zona euro diventa l’embrione di un’Europa autenticamente unita, o finirà per dividersi con una qualche deflagrazione come avviene con le stelle.

 

Nel frattempo il Fmi potrebbe non aderire al piano di salvataggio della Grecia, in quanto le recenti turbolenze porteranno l’economia greca a sfiorare un rapporto debito/Pil del 200%…

Questa è la realtà. La situazione è molto più seria e grave di quanto sia detto, perché si è detto e si continua a dire che la Grecia non è un Paese competitivo. Probabilmente nessuno si è preso però la briga di guardare i numeri. Il rapporto tra l’esportazione di beni e servizi e il Pil in Grecia dal 2010 al 2014 è passato dal 22% al 33%. È uno degli aumenti più elevati che si siano registrati in Europa, pari per esempio al doppio di quello dell’Italia. Tutto si può dire tranne che in Grecia non ci sia stata un’apertura anche competitiva verso l’estero. Se la Grecia continua a essere in una situazione come quella attuale, bisogna riconoscere che con le misure di austerità si è andati ben al di là di quanto potesse essere compatibile con una crescita economica equilibrata.

 

(Pietro Vernizzi)

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