«I greci dovranno ridurre il loro tenore di vita, rinunciando ad alcuni privilegi che avevano in precedenza, ma i rischi di contagio per l’Italia sono scongiurati». Lo sottolinea Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università degli Studi di Torino, dopo l’approvazione del piano di riforme da parte del Parlamento greco e il sì dell’Ue a 28 al prestito ponte da 7 miliardi, cui si è aggiunto il sì dell’Eurogruppo al salvataggio del Fondo Salva-Stati.
Come valuta il piano “imposto” dall’Ue alla Grecia?
Bisognerebbe conoscere bene i particolari. Per esempio, il piano prevede che l’ufficio di statistica greco sia sottratto al controllo della presidenza del consiglio. Se penso alla costante falsificazione delle statistiche fatta da parte di Atene, la ritengo una novità positiva. Per il resto è evidente che i greci dovranno ridurre il tenore di vita.
In che senso?
Gli armatori, cioè l’industria più grande del Paese, non paga le tasse. La seconda industria, cioè il turismo delle isole, non paga l’Iva e il catasto non esiste, e quindi le imposte sulle case sono un fatto puramente casuale. Non è un tipo di costume che possa andare bene nell’Ue: ciò che va cambiato è lo stile di vita.
Quindi non c’erano alternative?
La posizione di Schauble era che la Grecia dovesse uscire dall’euro e farsi le sue riforme, anzi che andasse fissata fin da subito una data di rientro. Siccome la dracma sarebbe stata svalutata, l’Ue l’avrebbe aiutata a mettere in piedi delle industrie in grado di funzionare e di essere competitive con il nuovo cambio. E dopo cinque anni la Grecia sarebbe rientrata nell’euro con il cambio svalutato.
Il Fmi ha detto che senza un taglio del debito non approverà il piano greco. Lei come valuta questa posizione?
Rispetto molto le diagnosi del Fmi, e questa presa di posizione mi fa pensare ancora di più che non si tratta di una soluzione definitiva, bensì di un passo all’interno di un processo. Il Fmi ha prestato 17 miliardi di euro all’Ucraina, che non saranno mai restituiti, semplicemente perché era stato chiesto dagli Stati Uniti. Con la Grecia ha inoltre una vertenza aperta, pari a 20-30 miliardi. Un terzo delle risorse del Fmi sono state dunque impiegate in operazioni dalle quali è difficile uscire.
Per Claudio Borghi Aquilini, la Lega nord ha un piano per fare uscire l’Italia dall’euro. Ritiene che possa essere attuato?
Nelle divagazioni estive c’è sempre qualche elemento di divertimento e curiosità. L’euro non è stato concepito per essere soltanto una moneta, bensì l’inizio di una costruzione politica. Quindi rinunciare all’euro significa rinunciare anche alla costruzione politica stessa. Finora l’idea degli europei era quella di fare fronte comune su tante cose, e molti passi avanti sono già stati realizzati.
È un passo arrivato a una battuta d’arresto?
Dobbiamo decidere noi se restare insieme, oppure se fare un’Unione che sia una specie di club privo di moneta comune, esercito comune, politica estera comune. Dopo di che non lamentiamoci se non riusciamo a mettere tutti d’accordo sull’immigrazione.
Dopo la vicenda greca, in Italia la strada della Legge di stabilità è in discesa o in salita?
Ritengo che il caso greco sia abbastanza irrilevante per la legge di stabilità italiana. Dal punto di vista economico il peso della Grecia è limitato. Nonostante l’Italia sia il primo esportatore verso la Grecia, ora anche se quel mercato si contrae poi si aprono nuovi spazi in Iran grazie all’accordo di Vienna. Dopo le dimissioni di Varoufakis e i voltafaccia di Tsipras, non ritengo però che ci siano timori di contagio per l’Italia.
(Pietro Vernizzi)