Negli ultimi giorni molti media europei sono ricorsi all’immagine cruda del waterboarding a proposito del pressing della Ue “tedesca” verso la Grecia sulle garanzie per il salvataggio Di “tortura dell’acqua” ha parlato il portavoce di Syriza, Nikos Fillis, nonché il britannico Guardian commentando il faccia a faccia finale, all’Eurosummit, fra Angela Merkel e Alexis Tsipras. Ma sul waterboarding – per catturare in una parola il dramma greco di fronte ai creditori – aveva puntato un giornalista italiano – Vittorio Da Rold, inviato de Il Sole 24 Ore – in un libro pubblicato alla vigilia dello showdown di luglio.



In “La Grecia ferita – cronaca di un waterboarding spietato” Da Rold non aveva nascosto le molte pecche della politica economica greca dopo un ingresso non proprio lineare nell’eurozona. Ma aveva puntato il dito soprattutto sulla pressione dei mercati finanziari e sui crescenti squilibri istituzionali di un’Europa sempre meno coesa da una strategia politica alta e di lungo periodo e sempre più divisa dalla vcontabilità di brevissimo respiro. Dopo due settimane in trincea – a Piazza Syntagma e dintorni – Da Rold non ha cambiato idea. Dietro i flash a raffica di una cronaca al cariopalmo, continua a non intravvedere un’Europa vitale, «come quella dei Padri fondatori», sottolinea in questa conversazione con IlSussidiario.net.  



«Che cosa rischia di diventare l’Eurozona se passa l’idea di un Paese debitore che deve fare i compiti a casa pena l’esclusione? Un nucleo economico e monetario più omogeneo e solido o una zona dove i Paesi creditori hanno un potere maggiore dei Paesi debitori? E cosa rischia di diventare questa Eurozona dove chi ha debiti diventa sempre più debole e chi vanta crediti sempre più forte? I padri fondatori avevano pensato l’Eurogruppo come una zona dove si produceva ricchezza che sarebbe stata distribuita ai partecipanti al club monetario. Invece accade che chi è forte e produce più dei partner raccoglie i benefici di un creditore, mentre chi è svantaggiato e si deve indebitare deve a sua volta pagare e si indebolisce sempre di più».



Un tempo erano gli Stati Uniti accusati di imperialismo politico ed economico.

Ecco, è come se negli Usa la Fed giudicasse di non intervenire a favore dell’Arkansas, uno stato povero che ha dato un presidente e poco più agli altri 49 stati della confederazione, chiedendo di diventare una nuova Silicon Valley californiana, altrimenti sarebbe espulso dal sistema del dollaro. Ogni Stato dell’Eurozona ha le sue caratteristiche e cercare di trasformare la Grecia in un Land tedesco è un’operazione impossibile economicamente e culturalmente.

La Grecia non ha davvero alcuna reponsabilità?

Ogni Stato deve rispettare le regole: e la Grecia ha molte colpe da farsi perdonare, dai conti truccati alle spese fuori controllo. Detto questo, escludere il Paese che più necessita del Quantitative easing appare poco comprensibile. Punire chi ha sbagliato va bene, ma in un’unione monetaria si aiuta il partner a migliorare, non lo si mette in un angolo. Altrimenti il partito della dracma torna al potere e riduce l’euro a un’unione di cambi fissi, dove ogni membro può decidere di uscire a suo piacimento.

Negli ultimi giorni sei stato fra gli osservatori che hanno pià accreditato una svolta  di Tispras al realismo. 

L’allontanamento del ministro finanziario Yanis Varoufakis è stato un passo non scontato, di presa d’atto che la contrapposizione frontale con l’Ue aveva prodotto solo disastri. L’aver potuto contare all’Eurosummit sull’appoggio di Italia e Francia, paesi fortemente attraversati da correnti anti-euro, lo ha probabilmente convinto che sul piano politico la “dottrina Tsipras” non è priva di radicamento, e in Spagna Podemos sarebbe in pareggio tecnico con il Psoe quasi alla vigilia delle elezioni. Ma a me non dispiace pensare che l’ennesimakolotoumba del premier greco nasconda la sana ambizione di un giovane statista che vuole provare a trasformare la rabbia sterile del suo popolo in dinamica di modernizzazione europea. Facendo magari del bene anche all’Europa.     

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