Le esportazioni nel mese di maggio crescono dell’1,5% rispetto ad aprile. A registrarlo è l’Istat, anche se al netto dell’aumento dell’export di prodotti energetici (+28,4%), la crescita complessiva delle vendite di prodotti italiani all’estero è dello 0,6%. La Banca d’Italia nel suo ultimo Bollettino economico ha rivisto al rialzo le stime di crescita (+0,7%). Nel frattempo il cambio euro-dollaro tocca il minimo nelle ultime sei settimane e l’accordo sul nucleare iraniano prelude a un nuovo ribasso del petrolio. Lo stesso sì del Parlamento greco al piano Ue placa le preoccupazioni dei mercati, con tutte le Borse europee in rialzo. Abbiamo chiesto un commento ad Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e professore straordinario di Economia politica alla Link Campus University di Roma.



Professore, gli ultimi dati macroeconomici sono tutti positivi. E’ il segnale della svolta o per l’Italia non sono sufficienti dei fattori favorevoli di tipo esogeno?

In primo luogo non dobbiamo dimenticare il perdurare delle sanzioni verso la Russia e la situazione cinese che non è delle migliori. Comunque la svolta per l’Italia arriverà solo nel momento in cui noi riusciremo a vedere l’aumento dei consumi interni. Un’economia non si può basare esclusivamente sulle esportazioni, i consumi interni sono l’elemento fondamentale della ripresa economica del Paese. Per quanto l’Italia abbia una vocazione all’export, i livelli di quest’ultimo non possono andare oltre il 25-30%.



Resta il fatto che il cambio euro-dollaro è favorevole, il prezzo del petrolio è destinato a calare e la situazione in Grecia sembra essersi stabilizzata…

Certamente sono fattori favorevoli. D’altra parte è ancora presto per calcolare quale sarà l’impatto del piano per la Grecia: non pensiamo che una rondine possa fare primavera.

A che punto siamo per uscire dalla crisi?

A vedere l’economia reale, la situazione dei cittadini italiani non è migliorata e quindi c’è ancora moltissima strada da fare. Lo stesso ricorso alle tasse previsto dal modello europeo per la sussistenza dell’euro fa sì purtroppo che i cittadini e le imprese siano ancora taglieggiati dal Fisco. In questo modo si va a impedire la possibilità di avere più reddito disponibile.



La Germania continua a crescere grazie alle esportazioni. Perché non può farlo anche l’Italia?

Perché la Germania si avvale dell’euro, che per i suoi fondamentali economici è una moneta sottovalutata. Se ci fosse ancora il marco tedesco, Berlino non avrebbe la possibilità di generare dei surplus ogni mese perché la sua moneta farebbe da freno. Esattamente il contrario dell’Italia, che se avesse una flessibilità del cambio avrebbe maggiori possibilità di esportazioni. Mentre oggi la competitività dipende essenzialmente dalla flessibilità del lavoro, cioè dalla svalutazione dei salari. La Germania sta galoppando con un surplus dell’8%, nonostante il Six Pack prescriva che non superi il 6%. Ciò la dice lunga sulla convenienza che ha la Germania a rimanere dentro l’euro.

Lei prima ha detto che i consumi non crescono per l’eccessiva pressione fiscale. Quali tasse sarebbe più urgente tagliare?

Le tasse più importanti da tagliare sono quelle patrimoniali, in quanto queste ultime danno per presupposto che ci sia anche un reddito mentre non sempre è così. Personalmente lo ritengo un grave errore. Basti pensare a una persona che ha ereditato la casa dai genitori o alla vedova che può avvalersi solo della pensione e che vive nell’abitazione che gli ha lasciato suo marito.

 

Quindi la Tasi è ingiusta?

Sì. Vanno tassati i redditi prodotti, e non il patrimonio altrimenti si crea un impoverimento degli italiani. Oltre l’80% delle famiglie nel nostro Paese vivono in una casa di proprietà, contro il 55% dei francesi e il 43% dei tedeschi. Agendo in questo modo si mettono gli italiani nelle condizioni di dover vendere la casa per pagare la Tasi.

 

Nella prossima legge di stabilità ci sarà spazio per interventi che correggano queste storture?

Assolutamente no, anzi la tassazione aumenterà sempre di più. I vincoli europei prevedono la leva fiscale o il taglio della spesa pubblica come unici modelli di riferimento per partecipare all’Eurozona, in quanto è inibita la possibilità di una monetizzazione almeno parziale del debito. A differenza di tutti gli altri Paesi del mondo, non siamo più sovrani dal punto di vista monetario e queste sono le conseguenze.

 

(Pietro Vernizzi)

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