Alexis Tsipras nel 2015 come Silvio Berlusconi nel 2011? Una prima differenza è certamente che il premier italiano si dimise senza indire clamorosi referendum su se stesso (se lo è davvero potuto permettere solo Charles De Gaulle in Francia alla svolta del Sessantotto). In quell’autunno di quattro anni fa in Italia i bancomat e i supermercati restarono sempre aperti, ma lo spread era quasi a quota 600 e la liquidità nelle banche era al livello di guardia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non potè far altro che quello che – assai probabilmente – dovrà fare il suo collega greco in carica, Prokopi Paulopoulos: insediare un governo tecnico di unità nazionale, si vedrà se appoggiato anche da Syriza oppure dopo nuove elezioni. Solo così arriveranno gli aiuti europei: che allora Berlusconi non chiese (ma chissà se fu la scelta corretta: la Spagna, continuamente additata come esempio positivo, lo fece nel 2012 per le sue banche).



I teorici del golpe contro un premier italiano “indesiderato” in Europa al punto da suscitare i sorrisetti pubblici del canceliere Angela Merkel, storcono la bocca anche oggi: quando nei confronti del premier greco la Merkel ha decretato un ostracismo ufficiale e totale. A una sortita squisitamente politica di Tsipras – il rovesciamento del tavolo dei negoziati a Bruxelles e l’appello alla piazza referendaria ad Atene – un leader ultrapolitico come il cancelliere tedesco ha peraltro risposto con lo stesso linguaggio: esattamente come, a un recente vertice a Milano, si rivolse direttamente in russo a Vladimir Putin.



La Merkel ha detto a Tsipras (e non solo a lui) due cose semplici quanto dure: i tavoli Ue non si rovesciano mai e si rispettano sempre; e chi non li rispetta ne viene inflessibilmente escluso. Non vi viene più ammesso un capo di governo – o uno Stato – che pretende di sedervi senza rispettare le regole: quelle che formalmente impegnano tutti i liberi aderenti a un trattato (Roma 1957, Maastricht 1991, Lisbona 2007); quelle che sostanzialmente dettano le linee perchè più solide e credibili sul piano politico-istituzionale e più competitive sul piano economico-finanziario. Forse qualche Paese-membro preferirebbe un’Europa a porte girevoli, dove in qualsiasi momenti si può uscire e/o si può essere accompagnati all’uscita?



Certo, non è la proiezione su scala Ue delle democrazie nazionali dei Paesi che nel secondo ‘900 hanno dato vita a una comunità europea sempre più larga e sempre più complessa. Anzi, su un terreno di merito politico, la Merkel ha messo virtualmente “fuori legge” i populismi anti-europei: molti dei quali radicati in molti parlamenti nazionali (in quello italiano da forze come Lega Nord e MS5). Ma nella Germania Federale che – con l’Italia – fu tra i sei paesi fondatori del Mercato comune europeo, erano fuori legge sia i tentativi di ricostituzione del partito nazista, sia la formazione di partiti d’ispirazione comunista. E la Merkel non è forse “supercancelliera” di una grosse koalition “strutturale” che starebbe addirittura scoraggiando l’Spd dal presentarsi alle prossime elezioni?

Esattamente come si è via via abituato a dare per scontato un suo modo di essere in realtà costruito lungamente e faticosamente dopo il 1945, il Vecchio Continente è oggi per molti versi smarrito di fronte al “sogno” definitivamente, ufficialmente infranto: anche se sono ormai molti anni che l’Europa abita con difficoltà la sua eurozona, stretta fra il confine mediterraneo e quello ucraino. È un’Europa cui la complessità indotta dalla globalizzazione ha tolto agli Stati-nazione parte di beni pubblici indivisibili come una democrazia aperta all’interno e una sovranità piena verso l’esterno.

È una constatazione cui non è facile aggiungere elementi d’analisi o schemi di previsione. Tre anni fa – in un ennesimo weekend di fine giugno – il salvataggio delle banche spagnole aprì il cantiere dell’Unione bancaria: che sta facendo molto soffrire il sistema bancario italiano e quindi l’Azienda-Paese nel suo complesso. Probabilmente non meno di quanto la Grecia è chiamata a soffrire per l’accordo con i creditori, la Ue e la Bce. Vi sono pochi dubbi che anche il campo delle regole bancarie sia lontano da quel “terreno di gioco livellato” che è il corrispettivo economico della pari dignità politico-istituzionale dei paesi sovrani che compongono l’Europa. Quest’ultima, tuttavia, prosegue il suo cammino: già “in terra incognita”, come ammette il presidente italiano della Bce, Mario Draghi. Ci sarà ancora “questa Europa” fra dieci anni? Quanti Paesi ne faranno parte?

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