L’opportunità di fare il punto sul reddito, anzi dei modi di remunerarne il valore, la fornisce il Segretario della Uil, Carmelo Barbagallo, ribadendo la validità della proposta, resa pubblica sin dal febbraio del 2015, che fissa l’entità del reddito nei rinnovi del contratto nazionale al parametro di crescita del Pil. Sì, insomma, più Pil, più reddito e chi non ci crede peste lo colga!
Beh vaccinato, mi avventuro oltre l’anatema, là dove mi par di scorgere il solito novecentesco refrain: se il produrre fa aumentare il Pil, e il mio lavoro sta dentro quel prodotto, reclamo il resto, se non me lo dai ti ordo una canizza sindacale! Già, si vincola il reddito al merito dell’aver prodotto al meglio, acciocché quel prodotto generi la crescita economica. Per fare al meglio la crescita, quando al mercato arrivano prodotti per dare ristoro a quel che serve per vivere, occorre avere guadagnato i denari sufficienti ad acquistare quel ristoro. Ok, così quel reddito è giusto.
Il giusto merito, insomma, che si consegue dal quel lavoro che ha prodotto. Quando invece per l’automazione dei processi (con il costante aumento della capacità produttiva) e l’incremento del numero dei produttori si produce di più con meno lavoro e si riduce pure il reddito di quel poco lavoro che resta, perché sovrapproduce, siamo nei guai: quel guadagno non riesce a smaltire quanto quel lavoro ha prodotto.
La prova: buona parte del debito che impazza nel mondo [] risulta contratto da chi, per ruolo, deve fare la spesa. Orbene quando quel debito non surroga più il reddito, non si genera altra produzione, ancor meno altro lavoro. Figuriamoci quella crescita economica che s’ha da fare proprio con la spesa. Se tocca agli apocalittici pronosticare la fine del lavoro, così come al debito rivalutare il reddito di chi lavora, stiamo freschi! Tocca invece valutare un reddito per chi fatica a spendere, ben oltre il bisogno, per dare corpo a tutta la crescita disponibile.
Giunti al fin della tenzone il reddito deve rinnovare la propria ragione economica. Magari quella di scopo per smaltire tutto quel prodotto remunerato con redditi insufficienti. Con lo scopo pure di far rientrare in gioco i politici per attrezzare un ambiente normativo idoneo a una nuova “Politica dei redditi” che remuneri tutte, ma proprio tutte, le prestazioni d’opera.
[1] Mc Kinsey, società di consulenza finanziaria, stima in 200mila miliardi di dollari il debito che gira per il mondo che, diviso per i 60mila miliardi di dollari del Pil mondiale, fa 3,3. Sì, per ogni dollaro 3,3 di debito che, per buona parte, risulta contratto da chi per ruolo deve fare la spesa, privata o pubblica che sia. In questo mondo, il rapporto debito/Pil sta al 289%.
C’è pure il detto e ridetto: ci sono in giro pure imprese probe che hanno attrezzato business dove si investe, prima per vendere il già prodotto, poi per ri-produrre. Altre: AirBnb, Uber, BlaBlaCar fanno profitto mettendo a disposizione piattaforme internet che consentono di trasformare i beni di consumo durevoli, posseduti e magari sottoutilizzati, in beni di investimento da mettere sul mercato. Guadagna l’offerente, risparmia il richiedente. Tutti e due rimpinguano quel borsellino per fare la spesa.