Sulla Grecia sono stati scritti in una settimana fiumi di inchiostro, non so se a beneficio della chiarezza o della confusione. Ad esempio, è senz’altro vero che il debito pubblico sta praticamente doppiando il Prodotto interno lordo, ma anche quello italiano ha superato ormai il 130% del Pil (quando già avrebbe dovuto essere ridotto) e, tra una crescita che stenta a riprendere e qualche sentenza della Corte costituzionale non proprio favorevole allo Stato, rischia di diventare presto o tardi insostenibile.



Eppure, l’Italia gode della fiducia dei mercati e può indebitarsi a breve, medio e lungo termine senza incontrare oggi particolari difficoltà. Ciò grazie a una serie di misure urgenti introdotte nel corso degli ultimi tre anni, per la verità più di tenore fiscale che di riforma strutturale, come ama invece dire il nostro Premier: si tratta soprattutto di gravosi acconti Irpef sulle imprese, prelievi con efficacia retroattiva, “tassa patrimoniale” (per la cronaca si chiama imposta di bollo sulle comunicazioni obbligatorie relative ai prodotti finanziari e Imu sulle seconde case, non necessariamente da ricchi sfondati), abrogazione dell’Imu sulla prima casa con contestuale introduzione della Tasi, ecc.



Tolto il Jobs Act, non ci sono state finora vere riforme in grado di incidere seriamente sul piano economico. Eppure l’Italia sembra brindare da tempo a una ripresa di fiducia in ambito internazionale: gli investitori, soprattutto esteri, ci danno credito.

A metà 2013, anche la Grecia sembrava dare forti segnali di ripresa, almeno a giudizio dei mercati finanziari, visto che la borsa di Atene guadagnò circa il 134% e il rendimento del titolo decennale ellenico passò dal 29% dell’anno precedente a meno dell’8%. La Troika (Ue, Fmi, Bce) già all’epoca monitorava la ripresa; persino le agenzie di rating (Fitch) promossero Atene. Possibile che la situazione di oggi si sia creata dal nulla?



Viene il sospetto che il meccanismo, chiamiamolo, della “fiducia internazionale” si muova abbastanza scollegato dalla realtà economia e sociale di un Paese. Fino a quando può durare? Chi governa il meccanismo, che sembra incepparsi quando si scopre come per magia che uno Stato è in serie difficoltà? Per questo soggetto, non facilmente visibile, il Papa ha usato un’efficace espressione: “Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole” (Evangelii Gaudium, 56, corsivo mio), che può decidere addirittura della sopravvivenza di un popolo.

Alla Grecia si chiede di approvare in due giorni delle misure importanti per sopravvivere: la riforma del sistema pensionistico, l’incremento dell’Iva, l’adozione di un codice di procedura civile, l’approvazione di una legge sulla crisi delle banche. 

Prendiamo il sistema pensionistico. In Italia, i primi interventi di riforma risalgono al 1992 con Amato, per approdare poi nel 1995 alla cosiddetta “Riforma Dini” che ha introdotto il sistema contributivo per i giovani lavoratori come me (all’epoca), cioè un sistema pensionistico basato effettivamente sui contributi versati. Quello che si riteneva un punto fermo nel 1995, tuttavia, si è poi ulteriormente evoluto: ad esempio, nel 2010, furono introdotte le cosiddette “finestre mobili”, da adeguare alla speranza di vita, per arrivare alla “riforma Fornero” che, a partire dal 2012, ha nuovamente modificato le regole.

Tutto questo per dire che la riforma del sistema pensionistico è un tema complesso, che deve essere affrontato con la dovuta calma e riflessività e con il tempo che occorre, per evitare di fare disastri sul piano umano e sociale: la storia degli esodati nel nostro Paese, dove pure si è riflettuto a lungo sulle pensioni, ne è un segno evidente. Pensate se esodato fosse un popolo intero! È quello che molto probabilmente avverrà in Grecia dove al povero Tsipras, con vero sadismo, si fanno prendere decisioni non genericamente impopolari, ma addirittura contro la nazione, che dovrebbe, se non servire, almeno evitare di danneggiare.

Tutti sanno che è quasi matematicamente impossibile riformare il sistema pensionistico in due giorni (per non parlare delle altre misure). Allora perché lo si chiede? Per dimostrare la buona volontà del popolo greco e poter rifinanziare le banche e lo Stato per farsi restituire i soldi? Credo che la Germania abbia deciso che in uno Stato pluri-indebitato non può esserci un governo di sinistra, o comunque un governo non gradito al “mercato”. Siamo sempre lì, ai bordi di un oscuro idolo che bisogna in qualche modo accontentare.