Mi sono dimesso da italiano sostenitore della necessità divina e metafisica di quella realtà recentissima e maledettamente devastante che si chiama Stato – così, con la maiuscola – e, non confidando in nessuna comprensione da parte degli astanti, affermo che non soltanto lo Stato è il nostro più ostinato, inveterato e acerrimo nemico, ma esso è anche il più grande creatore di caos che la storia abbia mai visto in azione. Dimostro questa tesi facendo leva su quel vero e proprio case–study che è l’Agenzia delle Entrate.
1) L’Agenzia delle Entrate nasce per rilevare, controllare, stanare e richiedere soldi ai contribuenti morosi. Controlli su controlli, blitz a Cortina nel presunto “paradiso dei ricchi”, con tutta la vulgata della plebe invidiosa che fa da supporter a questa colossale azione, neanche lontanamente contemplata in qualsiasi altro Paese d’Occidente e forse perfino nel Far East; ecco, tutto questo, a manetta, creando cosa, in sostanza? Un fenomeno che si chiama entropia. In una parola: il caos.
Le cose là fuori sono già caotiche, lo sono naturalmente, ma l’Agenzia delle Entrate crea un’entropia col marchio di fabbrica dello Stato, che è sempre Leviatano, come ho richiamato più volte su queste pagine, anche quando si tratta di Stato definito “democratico”, sempre Leviatano è, ossia si auto-eleva al rango di “deus mortalis” (Thomas Hobbes) e fa quello che più gli aggrada, giustificando tutto, pur di autoriprodursi. Una montagna di documentazione analitica dimostra ciò, ma tutti facciamo finta che basti calmierare la realtà con le parole, dunque siamo nello “Stato di diritto”, e tutto va bene, madama la marchesa.
2) Stringendo, il vero protagonista è il caos, l’entropia fabbricata a mezzo di procedure, protocolli, leggi, leggine, decreti e inserimenti nei decreti, roba da “Stato criminogeno” (Tremonti). Allora, domanda: ma lo Stato e i suoi organi, gli strumenti a esso connessi, non dovrebbero riordinare le cose, ridurre il livello di entropia, far scattare sugli attenti quei pezzi di realtà che saltano dalle grondaie del rigore, solo per apparire e suscitare scalpore? No, anche questo è l’ultimo tabù da abbattere: lo Stato fa sempre solo casino e gli piace anche il casinò, infatti ha il monopolio sulle dipendenze da gioco di milioni di italiani e italiane, spesso anche anziane, e su questo fa buona cassa, cioè infine: produce caos. Non in Italia e basta, a dire il vero, anche se io di ciò non sono affatto consolato, se è vero, com’è vero, che anche negli Stati Uniti sono in molti furiosi contro lo strapotere governativo creato da Obama, che sta saccheggiando e facendo a brandelli quel po’ di “common sense” ancora operante da quelle parti.
3) Eccesso di ferocia analitica? Giudizio troppo severo? Qui viene in nostro soccorso quel geniaccio di Ludvig von Mises, il nume tutelare della Scuola austriaca di economia, il quale sostiene che gli Stati totalitari, contrariamente al falso luogo comune che li vede come grandi costruttori di ordine ferreo, sono in realtà giganteschi produttori di caos sociale a gogò. Si chiama “Planned Chaos”, Caos Pianificato, e non è l’ultima pellicola di Jason Statham. Allora, a questo punto, la domanda si fa dirompente. Eccola: il nostro è uno Stato totalitario? Risposta: formalmente, proceduralmente, no, perché quello che diceva Bobbio sullo Stato di diritto possiamo assumerlo, ma il proceduralismo promosso dal decano della scienza politica italiana è la base dell’inganno, perché, di fatto, come ogni Leviatano che si rispetti (e si faccia rispettare, con ogni mezzo), la macchina-Stato in oggetto è certamente di natura totalitaria e gigantesca creatrice di caos.
Sì, lo Stato è il nostro nemico, come scriveva Albert Jay Nock, solo che noi, non essendo amici della retta ragione e della ragionevolezza, il delicato e sereno common sense anglosassone, non vogliamo riconoscere ciò. Un certo sano cattolicesimo di una volta tutte queste cose le aveva chiare e le diceva anche, basterebbe leggere don Sturzo, il Card. Newman, perfino don Milani, don Giussani, Romano Guardini, col suo saggio sul potere e il pendant perfetto, la riflessione sulla modernità, Papa Pio X, Pio XI, Pio XII, con la lettura del doppio incastro tra la dittatura della finanza e lo strapotere delle élites agnostiche e atee dello Stato. Poi ci sarebbe Christoher Lasch, con la sua teoria della ribellione anarcoide – dunque, viva l’entropia! – delle élites, Donoso Cortes, insigne pensatore ovviamente oggi negletto dal mainstream cattolico e salottiero.
Noi queste cose le sapevamo, una volta, le sapeva anche il prevosto di campagna. Dopodiché la modernità, come profetizzava Guardini, è passata da essere condizione storica ad habitus mentale permanente, e si è aperta la stagione della rimozione, delle dissonanze cognitive, del caos intellettuale. Anzi, di più: qui si apre la stagione, mai del tutto nuova, dell’autosabotaggio intellettuale, ma questa è davvero un’altra storia, sebbene sequel della precedente.