«Se da anni non si è riusciti a eliminare differenze di costi eclatanti sulle siringhe a seconda delle diverse Regioni, non si capisce come si potranno tagliare aree di spreco ben più difficili da individuare. Tagli verticali sulla prevenzione non farebbero altro che peggiorare il problema». È il commento di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dopo la spending review sanitaria da 10 miliardi annunciata dal commissario alla revisione della spesa pubblica, Yoram Gutgeld. Tra le altre cose, i medici che prescriveranno prestazioni specialistiche non necessarie ma solo in un’ottica di “medicina difensiva”, cioè per tutelarsi da eventuali cause, saranno punibili con il decurtamento del loro stipendio.



Professore, che cosa ne pensa del piano di tagli agli sprechi della sanità?

Sarà difficile non incidere sulla quantità e qualità del servizio e sui tempi d’attesa. L’importo di cui si parla, cioè 10 miliardi, è molto elevato. A ciò va aggiunto un dato: la spesa per la sanità è uno dei fattori che contribuisce alla disuguaglianza complessiva dei redditi. Ciò si comprende soprattutto nella misura in cui molte prestazioni, vuoi per i tempi di attesa o vuoi perché non più erogate dalla sanità pubblica, di fatto sono diventate private.



Con quali conseguenze?

All’assistenza privata accede chi ha maggiori risorse economiche. E comunque in generale la spesa per la compartecipazione sanitaria e le medicine è diventata piuttosto elevata. C’è dunque il timore che questa razionalizzazione possa di fatto portare a una maggiore sanità privata, e con essa quindi anche a una maggiore disuguaglianza economica e in parte sociale.

Quali margini di sprechi da tagliare ci sono nella sanità?

Se da anni non si è riusciti a eliminare differenze di costi eclatanti sulle siringhe a seconda delle diverse Regioni, non si capisce come si potranno tagliare aree di spreco ben più difficili da individuare. Il punto non è che si spenda troppo in sanità, anzi si spende troppo poco, ma che si spende male, e quindi intervenire con tagli verticali non farà che peggiorare la situazione.



Che cosa ne pensa invece del tema della cosiddetta “medicina difensiva”?

Secondo questa tesi, si farebbero troppi esami perché il medico di base tenderebbe a prevenire possibili errori, e quindi preferirebbe fare un esame in più per evitare che gli siano imputati. Mi domando però in questo modo dove vada a finire la prevenzione.

Si rischia di penalizzare la salute del cittadino e la professionalità del medico?

La maggior parte dei medici sono persone serie e scrupolose, travolte sempre più spesso da una burocrazia invadente. Occorre riconoscere il ruolo particolarissimo svolto dai medici di base, i quali sono in genere molto attenti a prescrivere alle persone esami mirati solo quando hanno problemi di salute.

 

La prevenzione è solo un costo?

Niente affatto. La medicina moderna dispone di una diagnostica sempre più sofisticata, che consente di prevenire situazioni che altrimenti diventerebbero molto costose sul piano pubblico ma anche privato.

 

Che fine farebbe questa diagnostica con la nuova misura del governo?

C’è il rischio che diventi privata, che siano tagliate le spese per gli investimenti o che magari alla sanità pubblica rimangano tecnologie troppo vecchie rispetto a quelle utilizzabili.

 

Ci sono altre aree, diverse dalla sanità, su cui è possibile tagliare?

Oggi lo spreco ha una forma diversa da quella che generalmente si tende a pensare. Lo spreco vero è quello delle posizioni di rendita, cioè di potere, in base a cui un soggetto ottiene di più non perché sia più bravo, ma in quanto è un privilegiato. Per esempio la nuova Brebemi oggi è poco utilizzata perché il pedaggio è troppo costoso.

 

Che cosa c’entra con il taglio degli sprechi?

L’esempio più imbarazzante di spreco in Italia è rappresentato proprio da modalità di concessione autostradale che vanno troppo a beneficio di posizioni di pura rendita. A farne le spese sono le tasche dei cittadini. Potremmo fare un lungo elenco di posizioni di rendita, che non sono in primo luogo le pensioni, ma soprattutto quei favori che dipendono dal livello politico. Non dimentichiamo che dalla politica dipende un enorme potere di nomina, che altro non è se non l’esercizio di un potere di rendita.

 

(Pietro Vernizzi)

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