Abbiamo vissuto una stagione italiana in cui avevamo due connazionali di spicco a implementare quella che si chiama, con suadente eufemismo, “governance dell’eurozona”, ed entrambi rispondevano al nome di Mario: Mario Draghi e Mario Monti, of course. Anzi, considerando che quest’ultimo viene soprannominato “il Tedesco”, meglio dire natürlich. Non è una stagione da dimenticare, al contrario, è da ricordare e lo dobbiamo fare ogni giorno, soprattutto in questo grottesco fine stagione politica di Matteo Renzi.
Ci pensa Mario Monti a rinfrescarci la memoria. Sempre zelante nell’uso delle categorie tecniche, in un’intervista al Corriere della Sera compie un’operazione di comunicazione strategica prima ancora che politica degna di nota, che merita attenzione e accurata analisi.
1) Intanto, chi è Monti, oggi? È il presidente del “Gruppo sulle risorse proprie dell’Ue”, istituito nel 2014. Cosa fa questo gruppo? Una cosa molto semplice: invera fino in fondo quel “più Europa” che le élites eurocratiche e finanziarie invocano da anni. E come lo fa? Ancora più semplice: dichiarando che l’Europa dovrà avere risorse proprie, non dipendenti dal trasferimento di contributi nazionali e addirittura una “fiscal capacity” autonoma. In altri termini: l’Europa deve esistere a prescindere.
Gli Stati nazionali, in questa cornice, non sono i mallevadori di un’Europa così immaginata, ma, al contrario, sono i lacci e i lacciuoli sempre all’opera, ogniqualvolta si debba trattare di integrazione economico-finanziaria e, dunque, ultimamente istituzionale. Questa la premessa del ragionamento di Monti: signori, la crisi attuale è una crisi di crescita dell’influenza dell’Europa, addirittura la Grecia, insiste Monti, dopo averlo detto e ribadito già a partire dal 2011, è la cartina di tornasole della vittoria e dell’egemonia meta-valutaria dell’euro, visti gli sforzi e i sacrifici che il popolo greco è disposto a fare per tenersi l’acclamata, a dire dell’ex Presidente del Consiglio, currency.
2) Molto interessante. Scendiamo nel dettaglio. La visione di Monti è spiccatamente hegelo-marxista. Tradotto: la necessità storica condurrà deterministicamente e dunque necessariamente l’Europa a superare se stessa, fino a diventare una mega e super-istituzione in grado di regolare autonomamente la vita dei popoli e il funzionamento degli Stati, i quali vengono, da un lato, “liberati” dal farsi carico degli oneri fiscali e contributivi pro Ue, e dall’altro, con torsione propriamente dialettica, vengono posti sul banco degli imputati in quanto ancora legati alla vecchia visione della salvaguardia, costi quello che costi, degli interessi nazionali, cosa non solo disdicevole praticamente per definizione, a detta di Monti e non solo sua, ma oggettivamente scardinatrice della realtà Europa tout court.
Cosa emerge da questa duplice posizione? Da un lato, qualcosa che somiglia sempre di più all’esperienza di Hegel, quando vide “lo spirito del mondo a cavallo”, vale a dire Napoleone, un altro che quanto a “governance dell’eurozona (del tempo)” non scherzava. Monti compie l’operazione del Barone di Münchhausen: si tira fuori dalle sabbie mobili dell’Europa tirandosi fuori per il codino che tiene legati i capelli. Da un lato, l’Europa ha un deficit strutturale, ma questo deficit è sempre a carico degli Stati e di chi osa mettere in discussione il paradigma-Ue come tale; dall’altro, se qualcuno può risolvere il problema, ebbene questo qualcuno è solo la megamacchina astratta e burocratica dell’Ue, che fa capo alla “governance”, una parola con trentasei significati tecnici diversi, basta consultare qualche dizionario di economia e sociologia per verificarlo, e che ha bisogno di avere a capo – ecco il salto dialettico ultimo, sintetico: tesi-antitesi-sintesi -: “l’equivalente di un ministro del Tesoro dell’eurozona”. Fine qui la parola di Monti: “equivalente” che, insieme a “equipollente”, manda ai matti i sociologi, gli analisti e perfino gli statistici di ogni età, epoca, ordine e grado. Proprio qui avviene ciò che deve avvenire, secondo l’hegelo-marxismo del Prof. Monti: la “governance” è legata alle funzioni del Tesoro e a una Ue sempre più definita dal governo del denaro in larga misura destinato dalla Germania, in questa determinazione dei rapporti di forza con questa unità di misura, al resto dell’Unione.
3) In questa cornice, tutt’altro che banale, anzi avvincente, perché avvince tutto ciò che vince, e questa realtà sta vincendo in tutta Europa, anzi sta influenzando perfino Obama, Monti disegna la graduatoria di chi sembra “nemico” e invece è “amico”, leggi la Germania, e di chi sembra “amico” dei popoli e invece è acerrimo “nemico” di questi ultimi, si vada alla voce Grillo & Salvini. Naturalmente, anche Renzi sbaglia, e merita dunque il limbo degli sprovveduti impenitenti o impuniti, come si dice a Roma.
Renzi non può permettersi di dire che l’Europa “non deve fare la maestrina con la penna rossa”. E perché non deve dire questo? Semplice – ecco l’altro nucleo di pensiero oggettivistico e deterministico di Monti -: perché è inutile, il tracciato storico è questo, il resto è davvero noia rispetto ai grandi circuiti finanziari, istituzionali e mondiali che fanno dell’Ue una leva gigantesca, ad esempio, del mercato delle currencies, delle valute. Punto e a capo. Togliti di mezzo, ragazzino, perché “per far funzionare l’Europa la competenza è indispensabile”. Ancora una volta: i tecnici domineranno sempre, consenso delle urne o meno. Ma, altro salto dialettico, “più politica in Europa ci vorrebbe proprio. Ma non quella che in genere vediamo oggi negli Stati membri: una politica schiacciata sul brevissimo periodo e pronta a immolare l’interesse generale sull’altare dei sondaggi”.
Lasciamo da parte il fatto che anche Monti abbia fatto parte di questo giro politico in qualità di Presidente del Consiglio, non è questo il punto. Il punto è questo: in questa cornice autoreferenziale e costruita dialetticamente, con tutti gli incastri e le connessioni realmente appoggiati su dati quantitativi e finanziari in prospettiva sempre più governati dalla macchina burocratica, non c’è partita. I giochi sono fatti e il mondo globalizzato postmoderno acquisisce un nuovo paradigma continentale capace di contenere il massimo del dispotismo legale legittimato dall’alto, con il minimo di democrazia reale esercitabile nella concretezza della vita dei popoli. Non è una visione da demonizzare o censurare, tutt’altro, contiene brillanti elementi ingegneristici, anzi, al contrario, deve essere marxisticamente elogiato chi la propugna.
Marx aveva una stima quasi esagerata nei confronti dei reazionari, perché essi insistevano sul terreno storico, proprio perché alla storia volevano pertinacemente re-agire. Qui Monti ci dice che la storia è già scritta e ha solo bisogno di interpreti degni di questo copione. Per Marx, Monti sarebbe un reazionario; per molti apologeti del capitalismo oligarchico e sotto controllo burocratico (l’ultimo “ircocervo” di geniale fattura, dopo il comunismo di mercato della Cina), il campione del progressismo mondialista. Sia come sia, resta una domanda sul terreno (anche storico): qual è il livello di sostenibilità storica di questa impresa di governance dell’eurozona, posto che, piaccia o meno a Monti, gli Stati sono ridotti come sono ridotti, i popoli perdono potere economico e le classi medie sono in grave crisi, e questi due esiti alimentano visioni alternative a quella hegelo-marxista, di natura tecnocratica, di Monti?
Se è davvero la storia a dire che “la libertà è la coscienza della necessità” e che “tutto ciò che è reale è razionale”, allora perché, nella concretezza del divenire storico, nell’oggi dei popoli, c’è uno scollamento così radicale nei confronti dell’Ue, tanto che neanche alcuni dei più solerti sostenitori del paradigma europeista sono più così tetragoni nel difendere questo vitello d’oro? Non sarà la Storia a rigettare le molte storie e narrazioni degli euroburocrati, che pure drizzano la schiena, a scrutare i segni delle “magnifiche sorti e progressive”, come “lo spirito del mondo a cavallo”?