“Con la riduzione del costo per le imprese dal combinato Ires e Irap, vogliamo portare il costo della tassazione sul profitto al 24%: l’obiettivo che ci poniamo è un punto sotto la Spagna”. Lo ha annunciato Matteo Renzi nel corso di una conferenza stampa al ministero degli Esteri. Il taglio fiscale in favore delle imprese sarà introdotto nel 2017 e articolato con un forte decremento della tassazione sul profitto, che punterà a essere il più basso in Europa. Oggi come oggi la pressione fiscale sulle società è pari al 27,5%, e sommata all’Irap regionale la cui aliquota base è del 3,9%, arriva al 31,4%. Ridurre l’imposizione al 24% ci porterebbe sotto Spagna, Francia e Germania dove è appunto del 25%. Anche se per Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, «le dichiarazioni di Renzi sono sempre abbastanza generiche, e quando uno scava poi scopre che la realtà è molto meno promettente».



Renzi con questo annuncio vuole sfatare l’immagine dell’Italia come il Paese delle tasse?

I veri problemi dell’Italia sono la burocrazia, gli ostacoli per chi vuole avviare le attività d’impresa e l’incertezza interpretativa delle norme, a partire da quelle fiscali. Un imprenditore di solito non sa mai se ha pagato tutte le tasse che doveva pagare, e a ciò si aggiunge la mancata tutela del contratto di fronte alla giustizia civile. Tutto ciò fa sì che le imprese straniere che non hanno particolari motivi per venire in Italia, non lo farebbero neanche se fossero del tutto esenti dalle tasse.



Quindi il problema numero uno non sono le tasse?

Le tasse sono alte, ma non rappresentano il problema principale. Anzi, un’impresa straniera sarebbe anche disponibile a pagare delle aliquote fiscali più alte. Purché ovviamente sapesse esattamente quali sono le regole del gioco, non ci fosse nessuna incertezza normativa, non ci fossero ostacoli burocratici e autorizzazioni discrezionali. Mentre aliquote fiscali più basse non consentirebbero l’eliminazione degli elementi che dicevo prima, e che sono invece assolutamente essenziali.

Nel frattempo i tagli alla sanità fanno sì che i cittadini debbano pagare di più per le prestazioni. È un gioco a somma zero?



I tagli alla sanità come al solito sono stati presentati in quanto riduzione di spesa, ma in realtà sono altro. Lo Stato dovrebbe cominciare a risparmiare dalla spesa che fa lui, e non a porre vincoli sulla spesa di altri soggetti come le Regioni. Tagliare la spesa sanitaria equivale inoltre o a ridurre le prestazioni o ad aumentare i ticket. Oltretutto questa è una delle voci rispetto a cui, pur con notevoli disparità regionali, l’Italia è abbondantemente al di sotto della media Ocse, sia come spesa in rapporto al Pil che come valore assoluto.

Su quali altri fronti bisognerebbe tagliare la spesa pubblica?

In primo luogo sulle pensioni. In questo modo però si solleverebbero delle vivaci proteste, mentre una persona malata che deve pagare un ticket sta zitta perché ha bisogno delle cure. L’anziano malato in questo modo paga più ticket e ha meno prestazioni, mentre il pensionato con un reddito alto non può essere toccato perché altrimenti protesta.

 

La Spagna ha tagliato le tasse alle imprese, ma ha portato il rapporto deficit/Pil al 6%. All’Italia sarà consentito fare lo stesso?

No. con il debito che abbiamo, il nostro rapporto deficit/Pil dovrà essere al di sotto del 3%. Quindi finché è del 2,9% va benissimo, ma già un 3,1% metterebbe in allarme l’Europa intera. I nostri margini di manovra sono dunque praticamente inesistenti.

 

Che cosa intende fare Renzi oltre agli annunci?

In realtà il presidente del Consiglio fa così tanti annunci che alla fine gli italiani non si ricordano più nulla, e nessuno è in grado di dimostrare se ha mantenuto o meno le promesse. L’unico annuncio di fronte al quale bisognerebbe riconoscere il suo coraggio sarebbe il seguente: “Mettiamo in piedi un Paese nel quale il settore pubblico funzioni veramente”.

 

(Pietro Vernizzi)

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