«Nel referendum greco si confrontano due posizioni ugualmente demagogiche. Da un lato Tsipras vuole che vincano i no per restare nell’euro ma spuntare condizioni più favorevoli. Dall’altro la Merkel spera in una vittoria dei sì per dimostrare a tutti che nessuno ha il coraggio di uscire dall’euro». Lo afferma il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, alla vigilia della consultazione con cui i greci decideranno se accettare o meno il progetto di accordo presentato da Commissione europea, Bce e Fmi nell’Eurogruppo del 25 giugno scorso. Riferendosi al voto, il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha cercato di rassicurare gli elettori e i mercati: “Un accordo è in vista anche con la vittoria del no al referendum ed è più o meno fatto”.



Professore, quali sono le ragioni e i torti delle due parti che si confrontano con questo referendum?

Tanto la Germania quanto Tsipras, demandando la decisione al popolo greco, di fatto assumono una posizione demagogica e populista. In una democrazia rappresentativa non è serio stabilire che il bilancio sia una prerogativa del popolo anziché del Parlamento.



Come valuta la posizione di Angela Merkel?

Da parte della Merkel c’è il tentativo di dimostrare che tutti i membri Ue hanno paura di uscire dall’euro e che quindi alla fine i greci voteranno sì. È una strategia imposta agli altri partner europei dalla Germania per ragioni interne.

Vuole dire che anche il fronte tedesco è diviso?

Sì, a Berlino esiste un vasto dissenso nei confronti della Merkel. La cosiddetta “destra economica” sostiene infatti che ci dovrebbero essere due zone euro, una prima mediterranea e una seconda legata alla Germania stessa. La Merkel si rende invece conto che questa tesi porterebbe a una situazione disastrosa per Berlino e per l’Europa e vuole dimostrare a tutti che “fuori dall’euro non c’è salvezza”.



Che cosa ne pensa invece della linea seguita da Tsipras?

La tesi di Tsipras in pratica è che gli altri Paesi Ue vogliono tenere la Grecia nell’euro perché temono che una volta uscita si avvicini troppo alla Russia. Un ragionamento che non tiene, perché per esempio la Svezia è fuori dall’euro ma dal punto di vista politico accetta le linee dell’Ue. Attraverso questo escamotage Tsipras pensa di poter convincere gli europei ad accettare le condizioni greche. Syriza vuole convincere gli elettori a votare no, ma non con l’obiettivo di ritornare alla dracma bensì per ottenere maggiori concessioni da parte dei creditori. Quella del governo di Atene è dunque una forma di ricatto del tutto grottesca.

Il Fmi ha giocato un ruolo di mediazione?

No, anzi Christine Lagarde ha tenuto una posizione assurda. In un primo momento ha opposto resistenze all’accordo che l’Ue avrebbe potuto sottoscrivere con Atene, perché voleva che Bruxelles concedesse condizioni più favorevoli alla Grecia per consentire al Fondo Monetario stesso di essere pagato per primo. Adesso il Fmi fa il tifo perché ai referendum vincano i sì, perché in caso di Grexit i suoi crediti non saranno saldati da Atene. Il Fondo Monetario ha danneggiato tutti, perché se la Lagarde invece di pretendere di più avesse facilitato l’accordo adesso non ci troveremmo in questo pasticcio.

Alla fine ad andarci di mezzo in questo braccio di ferro che lei definisce “grottesco” sarà l’Italia?

A prescindere da quale sarà l’esito del referendum, c’è una debolezza intrinseca del sistema dell’euro. Anche in Italia ci sarà quindi un periodo di tensioni e i tassi tenderanno ad aumentare.

 

Per Standard & Poor’s una vittoria dei no al referendum costerebbe all’Italia 11 miliardi di euro. È così?

Non ritengo attendibili i calcoli di Standard & Poor’s. Le conseguenze maggiori non riguarderanno infatti il debito pubblico, quanto la confusione che si è creata a livello di mercati internazionali. Il vero problema è che l’incidente greco, sommato alle turbolenze internazionali, rallenta la crescita di tutti. Come scrive Alberto Alesina su Il Corriere della Sera, anche la fiducia reciproca è un fattore fondamentale con un’incidenza soprattutto dal punto di vista dei mercati. In questo momento ci sono molti elementi che minano la fiducia, e ciò ha evidentemente ripercussioni negative.

 

Come valuta il ruolo giocato in questa vicenda dal governo Renzi?

Il governo Renzi nella vicenda greca ha fatto una cattiva figura. Pur essendo il terzo Paese dell’Eurozona e il più importante tra gli Stati mediterranei, l’Italia non è neppure stata consultata. Il nostro premier ha bisogno del sostegno politico della Germania per tenere il rapporto deficit/Pil al 3% anziché ridurlo, e quindi non può contraddire la Merkel sul caso greco.

 

Quella greca è una crisi dalla quale tutti hanno da perderci?

Secondo me, dal punto di vista dell’Italia, c’è quantomeno un aspetto positivo. La mia previsione è che al referendum vinceranno i sì, e ciò dimostrerà ancora una volta che i partiti anti-euro riscuotono un consenso notevole ma alla fine prevale il buonsenso. I giovani istintivamente possono essere più propensi a votare “no”, ma anche loro non saranno giovani per tutta la vita. Finché c’è il papà che pensa a portare a casa i soldi è un conto, ma nel momento in cui il “giovane” si trova a doversi gestire da solo si trova anche lui a votare sì perché teme che il bancomat rimanga chiuso.

 

(Pietro Vernizzi)

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