Forse neppure il premier Matteo Renzi firmerebbe più a cuor leggero, sei mesi dopo,  il decreto di riforma delle Banche Popolari. E certamente tutti in Europa avrebbero evitato di appellarsi – burocraticamente – “a Bruxelles” per una misura “salva banche” negli stessi minuti in cui – a Strasburgo – il premier greco Alexis Tsipras alzava ulteriormente i toni politici contro “le burocrazie di Bruxelles che hanno salvato le banche e non i popoli”. Ma Ignazio Visco – ospite ieri dell’Associazione bancaria italiana in assemblea annuale – non ha trovato molto altro da dire sul momento del sistema creditizio nazionale.



È vero che si agita ben altro attorno alle banche italiane: e di Grexit e dintorni il governatore della Banca d’Italia ieri ha infatti parlato diffusamente. Ma proprio a partire da questo “ben altro”‘ avrebbe potuto – e forse dovuto – dire ben altro anche alle sue banche: anche se non ne ha più la vigilanza piena. Tanto più che nelle sue ultime prese di posizione – ufficiali e informali – il “sentiment” di Visco è emerso come “terzista”: allineato con quello del premier Renzi nel difendere la stabilità istituzionale dell’Eurozona, ma senza negare completamente le ragioni anti-rigoriste della Grecia.



Bene, se questo è il vento che soffia – e non è detto quale direzione definitiva prenderà dopo domenica prossima – un “civil servant” degno di questo nome (ma in Bankitalia tradizionalmente lo erano) non si sarebbe limitato a riepilogare davanti ai suoi banchieri un’agenda burocratica, per di più drammaticamente superata dai tempi. Le Popolari italiane non sono le banche “salvate dai burocrati europei”: sono invece state scientificamente massacrate dalle tecnocrazie Ue, a suon di regole e di vigilanze e di regole discriminatorie. E il blitz di Renzi, lo scorso gennaio, è stato l’ultimo anello di una catena di misure di austerity asimmetrica, competitiva, punitiva verso l’Azienda-Italia: presumibilmente l’ultimo prezzo da pagare alla Bce di Mario Draghi per ottenere un po’ di “Quantitative easing”.



Ora nel luglio 2015, una classe dirigente accorta di un Paese come l’Italia non rinnega certo alcuna delle sue riforme: non può permetterselo nei confronti dei mercati, ma può permetterselo nei confronti di un Paese davvero fallito come la Grecia. Quindi un capo della banca centrale che non abbia completamente abdicato al suo ruolo e che volesse giocare la sua “sovranità limitata” nella movimentata e inattesa fase costituente dell’euro 2.0, ieri avrebbe incitato le sue banche a utilizzare “tutte e subito” il nuovo meccanismo di abbattimento fiscale delle perdite: varato dal governo senza aspettare “i burocrati di Bruxelles”, senza coperture certe. 

Avrebbe potuto evitare, Visco, di indugiare con toni da convegno sulla bad bank “alla spagnola”. Avrebbe ordinato alle Popolari di trasformarsi in Spa e decidere le loro fusioni entro cento giorni: una finestra imprevista e favorevole, in cui è immaginabile che la Bce tenga a briglia più stretta i suoi ispettori così zelanti con le banche mediterranee (invece è possibile che una Grexit traumatica renda l’Unione bancaria nordista ancor più collerica e vendicativa). E se anche Alessandro Profumo è giunto alla conclusione che Mps può sopravvivere con lo scorporo-contrappasso dell’Antonveneta, la Vigilanza si dia da fare: non come quando, nel 2007, lasciò fare al mercato e chiuse gli occhi davanti all’acquisizione suicida da parte del Monte.

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