In queste settimane in cui, dopo cinque mesi di difficili discussioni, sta iniziando un complesso negoziato mirato a fare sì, da un lato, che la Grecia non esca dell’unione monetaria e, dall’altro, che l’eurozona non si spappoli, può sembrare curioso chiedersi cosa Frederick von Hayek avrebbe pensato di tale “pasticciaccio brutto”.
Hayek (Vienna 8 maggio 1899-Friburgo 23 marzo 1992) ebbe lunga vita e morì proprio mentre il Trattato di Maastricht stava iniziando il processo di ratifica nel primo, peraltro nutrito, gruppo di Stati che entrarono a fare parte dell’area dell’euro. Tuttavia, già anziano quando iniziarono gli accadimenti (in primo luogo l’implosione dell’Urss) che portarono all’unificazione della Repubblica Federale Tedesca, non si interessò mai direttamente all’integrazione europea. Occorre, però, ricordare che il suo primo libro Monetary Theory and the Trade Cycle (1929) riguardava la teoria delle moneta, anche se vista nell’ottica del teoria del ciclo economico, e il suo terzo Monetary Nationalism and International Stability (1937) trattava specificamente di politica monetaria internazionale. Tra i due, Prices and Production (1931) uno dei testi che, all’epoca, gli diedero maggiore fama.
Monetary Nationalism and International Stability, invece, non ebbe grande successo, tanto che si dovettero attendere circa cinquanta anni per una ristampa. Solo adesso, poi, ne appare una traduzione in italiano (Friedrich A. von Hayek, Nazionalismo Monetario e Stabilità Internazionale, Presentazione di Lorenzo Infantino, Prefazione di José Antonio de Aguirre, Rubbettino 2015, € 10). Le ragioni per il relativo disinteresse, nel 1937, sono due: da un canto, gli economisti erano principalmente alle prese con quella che è stata chiamata “La Grande Depressione” (e quindi con le polemiche sul pensiero keynesiano); da un altro, è una raccolta di cinque lezioni fatta allo Institut des Hautes Etudes Internationales di Ginevra – in istituto ancora molto attivo nel parco Mon Repos sulla riva del lago Lemano dove allora aveva sede la Società delle Nazioni, e ora una delle sedi europee delle Nazioni Unite.
L’Institut aveva dato a Hayek ampia facoltà di scelta sui temi da trattare nelle cinque lezioni. Fu lui stesso, quindi, che utilizzò l’occasione per riflettere su nazionalismo monetario e stabilità internazionale. Hayek lamentò di non aver avuto abbastanza tempo per un’analisi esaustiva. In effetti, il libro va trattato quasi come “dispense d’autore”: da un canto, rappresenta il pensiero “grezzo” di uno dei più autorevoli scienziati sociali (non solo economista) dal secolo scorso; da un altro, non è levigato come molte altre opere di Hayek. Inoltre, sono “dispense d’autore” di un teorico non di un economista impegnato su problemi “pratici”. Nella convinzione che dalla teoria sorgono gli insegnamenti per la pratica, e, quindi, per la politica economica.
Tuttavia, anche se la lettura di alcuni passaggi può apparire un po’ ostica, il messaggio è chiaro: avversione per un sistema di cambi fluttuanti (risultanti da “nazionalismo monetario”) in quanto fonte di perturbazioni molto gravi per il sistema finanziario ed economico internazionale; avvertimento che il “nazionalismo monetario” e le monete nazionali non possono isolare un Paese da tensioni provenienti da altri Paesi o dal resto del mondo (nel 1937 il termine “globalizzazione” non era in circolazione); certezza che non esiste una base razionale per regolare la quantità di una moneta o di un’area monetaria che sia parte di un sistema economico più ampio.
È un messaggio molto eloquente per dipanare i guai dell’eurozona. In altri termini, il messaggio che si trae daMonetary Nationalism and International Stability è che se si fosse ascoltato Hayek il Trattato di Maastricht non sarebbe stato redatto. Si sarebbe rimasti, forse, all’accordo europeo dei cambi (chiamato in gergo giornalistico Sistema monetario europeo, Sme) che limitava le fluttuazioni e rendeva collegiale il processo decisionale sui cambi, ma non costruiva un sistema complicato di regole, peraltro poco osservato e aggiornato con accordi intergovernativi ad hoc che lo fanno assomigliare a un vestito da Arlecchino.