Questo Paese e la sua “grande” stampa non cambieranno mai. Basta guardare un po’ più in là del proprio naso, mettere insieme due fatti ed ecco che si scopre come nulla succeda a caso ma abbia una sua trama precisa e, soprattutto, un suo scopo che quasi sempre non è mai quello dichiarato o ce si vuole far credere. Ma partiamo da una dinamica in atto: ovvero, la compressione del prezzo dell’oro da parte delle banche d’affari per due motivi. Il primo ce lo dimostra il primo grafico a fondo pagina, cioè la necessità di non far andare a zampe all’aria qualche decina di miliardo di dollari di scommesse sui derivati legati ai metalli preziosi. Secondo, screditare il valore dell’oro come bene rifugio per evitare il suo apprezzamento e il suo ruolo intrinseco di moneta non fiat, in un mondo dove ormai dollari, euro e yen sono solo pezzi di carta senza valore e basati unicamente su debiti insostenibili. 



Partiamo dal secondo e terzo grafico, il primo dei quali ci mostra come per la prima volta nella storia da quando il dato viene tracciato, i fondi speculativi siano in posizione net short sul futures aurei, stando a dati della Cftc. Il secondo, invece, ci mostra cosa sia accaduto ai corsi aurei l’ultimo volta che l’oro vide una bassa posizione net long da parte degli hedge funds. Potrei chiudere qui l’articolo, la prova della manipolazione in atto è palese. Ma facciamo un passo indietro per mettere la situazione in prospettiva. 



Il 20 luglio scorso qualcuno, a mercati pressoché chiusi a livello globale, ha scaricato un nozionale di 2,7 miliardi di dollari su futures aurei, portando a un flash crash sostanziatosi in un calo del 4,2% a quota 1086 dollari l’oncia, il livello più basso dal marzo 2010 e trasportando in ribasso tutti i metalli preziosi? E, altra coincidenza, quando Wall Street aveva chiuso da pochi minuti, ecco altri 550 milioni di nozionale scaricati da una manina misteriosa e prezzo ancora sotto la soglia di 1100 dollari? Ovviamente non si sa chi sia stato, ma ironia della sorte, pochi istanti prima del flash crash la Banca centrale cinese aveva rivisto al rialzo i dati delle sue riserve auree comunicati il venerdì precedente, portando il dato a 53,32 milioni di once dai precedenti 53,31 e comunicando che rispetto al dato del 2009 l’aumento è stato del 57%. Ma si sa, la Cina compra fisico e non carta. 



Direte voi, cosa c’entra Pechino con questa dinamica? Ve lo faccio dire fa Anthem Blanchard, ceo della Anthem Vault, a detta del quale «dato che la Cina è l’epicentro del mercato dell’oro fisico, ha senso che il governo voglia che Shanghai soppianti il mercato dei derivati Comex come primario meccanismo di prezzatura a livello mondiale». Inoltre, il mese scorso Bank of China è diventata la prima banca cinese a entrare a far parte del gruppo di istituzioni che fissa il prezzo benchmark della London Bullion Market Association e altri due istituti cinesi hanno fatto richiesta di ingresso. 

Per Julian Phillips, fondatore della GoldForecaster, «questo consentirà alle banche cinesi di partecipare al mercato dell’oro su basi globali». Ma va anche oltre: «New York e Londra sono stati generalmente gli hub per la prezzatura dell’oro, ma con così poco oro fisico che passa dal Comex, questa appare una distorsione di domanda e offerta, visto che riflette soltanto lo stile di trading degli speculatori». In effetti, il delivery al Comex riguarda solo il 5% dei contratti stipulati. Per questo, «la Cina non può più accettare di essere ostaggio di New York e Londra nell’esercizio della fissazione dei prezzi. Finora hanno tenuto il prezzo dell’oro ben al di sotto di quanto rifletta la ratio domanda/offerta e, nonostante Pechino non voglia un prezzo incontrollato, non può nemmeno accettare che Usa e Uk abbiano il controllo su un mercato in cui sono players minori». 

Di più, ricordiamoci cos’è accaduto l’ultima volta che la grande stampa ha sfoderato l’artiglieria anti-oro, esattamente come ha fatto nell’edizione dello scorso weekend del Wall Street Journal, Jason Zweig, definendo il possesso di oro “un mero atto di fede”. Anzi, ce lo ricorda il grafico a fondo pagina, un rally del 650% nei 12 anni successivi all’articolo di Floyd Norris sul New York Times nel quale si chiedeva ironicamente «chi ha bisogno d’oro quando abbiamo Greenspan?». E ancora, dalla scorsa settimana la London Metal Exchange, il più grande hub di trading sui metalli del mondo (l’anno scorso sono stati trattati metalli per un controvalore di 15 triliardi di dollari), ha annunciato che sta per accettare lo yuan come collaterale da parte di banche e brokers che operano sulla sua piattaforma. Quindi, la valuta cinese va a fare compagnia a dollaro, euro, sterlina e yen, già presenti nel trading della Lme. Il cui amministratore delegato, Trevor Spanner, ha così motivato la decisione: «Nell’area delle commodities, ha assolutamente senso cominciare a fornire servizi denominati in yuan, una moneta che sta per diventare una delle più utilizzate al mondo». 

Insomma, ciò che a voi può sembrare poca cosa, è invece una pietra miliare nella storia cinese moderna: tanto più che oggi lo yuan è la quinta moneta più usata al mondo per i pagamenti internazionali, quando solo l’anno scorso era al numero sette della classifica, stando a dati ufficiali della Worldwide Interbank Financial Telecommunication. Di più, la Bank of England ha certificato che il trading in yuan è aumentato del 25% a Londra nei primi sei mesi di quest’anno, mentre il volume medio nelle altre valute è calato dell’8% nello stesso periodo. Senza scordare, poi, che la sempre maggiore presenza cinese sul mercato aureo, potrebbe aiutare non poco lo yuan come valuta a livello globale e di scambio, addirittura promuovendo il trading sull’oro in valuta locale. Insomma, per molti un fixing del prezzo a Shanghai porterebbe a un mercato non distorto dalle banche e dal trading dei loro proprietari o dal sistema di distribuzione globale. 

Inoltre, l’oro non è solo una commodity, è denaro e quindi potrebbe giocare un ruolo accanto a dollaro, euro, franco svizzero e sterlina in un sistema globale multi-valutario. Ma, soprattutto, con il dollaro destinato a perdere il suo status di benchmark assoluto nel commercio mondiale, questa logica non riguarderebbe solo l’oro cinese ma un nuovo sistema monetario relativamente indipendente dal biglietto verde. 

Lascio alle parole di Paul Craig Roberts spiegarvi la logica che sottende quanto sta accadendo: «In diverse occasioni abbiamo spiegato come gli agenti della Federal Reserve, le bullion bank (principalmente JP Morgan-Chase, Hsbc e Scotia), vendano posizioni scoperte short (“naked short”) sul mercato dei futures dell’oro (Comex) per ridurre gli aumenti nel prezzo spot. Scaricando così tanti contratti scoperti nel mercato dei futures, si crea un aumento artificiale “dell’oro di carta” e questo aumento dell’offerta spinge verso il basso il prezzo dell’oro. Questa manipolazione funziona perché gli hedge fund, i principali acquirenti di contratti short, non chiedono la consegna dell’oro alla base dei contratti, risolvendoli invece in contanti. Ciò significa che le banche che hanno venduto i contratti scoperti, non corrono mai il rischio di non riuscire a coprirli. La quantità dei contratti paper gold (“open interest”) può superare in qualsiasi momento la quantità d’oro fisico disponibile per la consegna, una situazione che non si verifica in altri mercati a termine». 

 

In altre parole, i mercati dei futures dell’oro e dell’argento non sono un luogo dove la gente compra e vende tali metalli preziosi. Questi mercati sono luoghi dove le persone speculano sulla direzione dei prezzi e dove gli hedge funds utilizzano i futures sull’oro per coprire altre scommesse basandosi sulle formule matematiche che utilizzano di solito. Il fatto che i prezzi dei lingotti siano determinati da questo mercato speculativo e non dai mercati fisici, dove la gente vende e acquista lingotti, è la ragione per cui le bullion bank possono far scendere il prezzo dell’oro e dell’argento anche se la domanda per il metallo fisico è in aumento, come accade ad esempio per l’argento, visto che il prezzo è ai minimi storici, ma due settimane fa la Zecca Usa ha annunciato di aver finito le monete American Eagle da un’oncia. 

E guarda caso, la scorsa settimana Michael Lewis, capo del dipartimento commodities di Deutsche Bank, ha detto che il giusto valore dell’oro è di 750 dollari l’oncia, basando la sua stima su otto indicatori, tra cui petrolio, rame, reddito pro capite e prezzo delle equities. Scordandosi però una cosa, ovvero che l’oro è denaro vero, non una commodities industriale o anche solo finanziarizzata come il petrolio. 

Ed eccoci arrivati alla fine e anche al punto di inizio dell’articolo: a fondo pagina c’è la copertina de “L’Espresso” in edicola da ieri, un’inchiesta sul «business dell’oro sporco, illegale, frutto della devastazione ambientale e dello sfruttamento», con le solite storielle strappalacrime di donne e bambini costretti a lavorare come schiavi in Amazonia per cercare qualche pepita. Come mai non raccontano mai quello che vi ho raccontato io sull’oro, ma si lanciano sempre sul terzomondismo d’accatto che non disturba affatto le banche d’affari e i fondi speculativi, ma fa scendere la lacrimuccia all’italiano medio, cloroformizzato da pauperismo e ideologia? Quel business, per quanto schifoso, è una goccia nel mare degli interessi che stanno dietro all’oro, poche decine di tonnellate contro migliaia detenute dalla Banche centrali e soprattutto contro miliardi e miliardi di controvalore di oro di carta inutile ma molto profittevole. A quando un’inchiesta su questo? 

Attenti, come vi ho dimostrato, quando parte la crociata anti-oro della grande stampa, significa che i tempi si fanno difficili e serve screditare l’unico riferimento reale non fiat, l’unica commodities che se legata direttamente a una valuta può renderla credibile e non un pezzo di carta basato sul debito come il dollaro, l’euro o lo yen. Con la scusa dei trafficanti e dei compro-oro senza scrupoli vogliono farvi credere che l’oro sia una cosa brutta, sporca e cattiva, mentre il dollaro stampato di notte come Totò e Peppino dalla Fed è bellissimo. Una cosa è certa, magari non sarà bellissimo, ma è funzionale agli interessi di molti. Anzi pochi, ma che comandano i giochi.