Per l’Istat, “l’economia italiana cresce a ritmo moderato, in parte influenzata dal rallentamento del commercio internazionale. Ai segnali positivi provenienti dall’industria manifatturiera e dalla domanda interna si contrappongono i risultati negativi delle costruzioni e la mancata ripresa dell’occupazione”. Giulio Sapelli, Professore di Storia economica all’Università degli studi di Milano, ritiene che questa situazione si verifichi perché «gran parte della ripresa viene effettuata attraverso investimenti – che, sebbene in misura ridotta, sono stati fatti – a risparmio di lavoro». Senza dimenticare che «c’è una parte del Paese che comincia a sentire la ripresa, perché ha delle filiere produttive di nicchia che stanno funzionando, ma ce n’è un’altra, il Sud, in cui non si muove più nulla e si perdono posizioni. Non vedo, insomma, un quadro complessivamente positivo».
L’Istat segnala un rallentamento del commercio internazionale. Questo ci deve preoccupare?
Assolutamente sì, dato che abbiamo costruito il nostro sistema produttivo principalmente sull’export. E d’altronde non è nemmeno rassicurante sapere che alcune ricerche mostrano che dall’ondata di grandi innovazioni nell’hi-tech non sta arrivando né un aumento della produttività del lavoro, né occupazione nuova.
C’è comunque il segnale incoraggiante di una produzione nel settore degli autoveicoli in rialzo del 44,2% nel primo semestre dell’anno.
Di per sé sarebbe un segnale positivo. Andrebbe monitorato con più attenzione per capire se sono aumentati gli acquisti di automobili perché la gente pensa che domani le cose andranno peggio, e quindi è meglio comprare ora, oppure perché c’è ottimismo e allora si spende sapendo che domani si potrà tornare a risparmiare.
Alla luce di questa situazione, cosa suggerirebbe di fare al Governo, nell’ambito della politica economica, subito dopo l’estate?
Procedere al taglio delle tasse come annunciato. Bisognerebbe, però, detassare non tanto e non solo i consumi, ma anche la produzione e il lavoro: sulle imprese c’è ancora una pressione fiscale elevata. L’importante è che non ci sia una rimodulazione delle tasse, quindi una diminuzione da una parte e un aumento dall’altra.
Per diminuire le tasse sarà importante che ci sia una vera spending review.
Io non credo che la spending review faccia bene alla crescita. Bisogna quindi colpire solo gli sprechi, evitando di diminuire la spesa pubblica, che è tra le più basse in Europa: cosa che ha ovviamente un suo peso nel crollo della domanda interna.
E come si possono colpire solo gli sprechi?
Si può cominciare dalle tante poltrone dei Cda delle municipalizzate: soldi buttati dalla finestra. E poi bisogna introdurre i costi standard: dopo tanti studi in merito, passi avanti non ce ne sono stati. Anche l’idea di creare un’unica Consip nazionale per la sanità è rimasta sulla carta. C’è poi un’altra cosa importante che il Governo deve fare.
Quale?
Non si può chiedere da una parte di fare una politica e da un’altra non farla. Mi spiego meglio. Se da un lato si dice che occorre rinegoziare i trattati europei, non ci si può dimenticare che il Patto di stabilità è probabilmente un ostacolo alla riduzione della spesa. Ci sono infatti comuni virtuosi che tagliano la spesa e non possono spendere, e altri che continuano a non essere virtuosi e non vengono colpiti. Poi a livello europeo, tramite il Piano Juncker, o non conteggiando gli investimenti nel 3% del deficit/Pil, bisognerebbe stimolare il settore delle costruzioni.
A proposito di Europa, l’Italia può crescere con dei parametri, delle regole, delle politiche come quelle attuali europee?
Non credo che ci sia crescita per l’Italia in un’Europa così com’è stata fatta, regolata e con questa interpretazione dei trattati di Maastricht. Se poi si arriverà al super-ministro delle Finanze europeo che vuole Schauble, allora potremo tirare giù la saracinesca. Non è altro che una manifestazione dello spirito di potenza tedesco, che si è trasformato dall’estetica del carro armato all’estetica della bilancia pubblica. Ritengo che arriveremmo a una divisione dell’Europa.
In che modo?
Da un certo punto di vista credo che la Germania non voglia stare più nell’euro. Non tanto la Merkel, quanto la grande industria, che vorrebbe la nascita di un kombinat baltico-tedesco-russo, mandando a ramengo l’Europa, con il rischio che quella del Sud finisca nel raggio di influenza islamica. Sarebbe quindi una scelta economicamente sostenibile, ma geopoliticamente pericolosissima.
Vista questa situazione, è l’Europa che deve cambiare o è meglio uscirne?
Bisogna cambiare l’Ue, dare all’Europa non uno Stato federale, ma confederale. Bisogna rimettere la sovranità nazionale al centro dell’Europa. L’idea di costruire l’Europa uccidendo lo Stato nazionale si è dimostrata un fallimento: vediamo oggi con la questione degli immigrati quanto emerga lo spirito nazionale e quanto non ne esista uno europeo.
(Lorenzo Torrisi)