Perché un debitore come la Repubblica Italiana dovrebbe lanciare suoi buoni poliennali indicizzati al Pil? E chi e perché dovrebbe sottoscriverli? L’ipotesi-proposta avanzata pochi giorni fa da Il Sole 24 Ore riflette sicuramente la preoccupazione del Tesoro italiano di collocare quantitativi importanti di debito pubblico italiano in un mercato sempre più competitivo come quello dei titoli governativi dei Paesi dell’area-euro. La dimensione dei debiti nazionali è ormai rilevante per tutti gli emittenti (per la Grecia in virtuale default, per l’Italia ma anche per la virtuosa Germania). La capacità di essere innovativi e di giocare d’anticipo può quindi rivelarsi un notevole fattore concorrenziale: tanto più per venditori più o meno “forzati” di proprio debito, che tendono a essere strutturalmente svantaggiati su prezzi e condizioni strappati nel confronto con gli investitori. Il potere del Principe – ai tempi di Machiavelli come in quelli della finanza globale – si misura sempre con i limiti imposti nella gestione della sua moneta.



Lo Stato italiano ha mostrato apprezzabili capacità innovative anche in periodi più recenti rispetto a quelli nominati dal premio Nobel Shiller (che ricordava realtà di molto precedenti la formazione della nostra unità politica): basti ricordare la creazione del Mercato Telematico dei Titoli di Stato (Mts), piattaforma di nuova generazione che ha consentito all’Italia di superare la durissima crisi di inizio anni ’90. Sul piano dell’offerta di strumenti, l’ideazione e il piazzamento di Certificati di Credito del Tesoro con Opzione (Cto) è servita ad allungare le scadenze del debito italiano, portandolo sul tasso fisso. Non è fuori luogo rammentare questi casi di successo, ma a patto di sottolineare che sono stati progettati guardando congiuntamente e in misura equilibrata agli interessi del debitore e a quelli degli investitori.



L’innovazione finanziaria, specie dopo lo scoppio della crisi globale, viene spesso associata a finalità poco virtuose. L’esito certamente peggiore è quello che non vede beneficiarne né il debitore, né il creditore (nel sistema di assi cartesiano proposto dallo storico dell’economia Carlo Maria Cipolla, la posizione di tale operazione starebbe senza dubbio nel quadrante individuato dalla capacità di produrre danno a entrambe le parti coinvolte, salvo considerare che può esistere un beneficio per il terzo che le presenta).

La formulazione del “BTPil” su Il Sole 24 Ore si concentra principalmente sui motivi per cui lo strumento è interessante per il debitore. In particolare: lo Stato italiano sta progressivamente aggiustando un sistema pensionistico in cui le pensioni future degli italiani saranno indicizzate in parte anche al tasso di sviluppo dell’economia del Paese. Restano tuttavia le incognite sulla rispota dei compratori: quelli privati (le famiglie risparmiatrici) e quelli istituzionali, che comunque difendono risparmi e capitali altrui. Entrambi gli operatori tendono a comporre i loro portafogli in modo coerente a obiettivi di rendimento spesso articolati. Come amava dire Alfonso Desiata, a lungo ai vertici delle Generali, qualsiasi offerta di titoli o prodotti finanziari si confronta sempre con un “risparmio finalizzato”, caratterizato da esigenze complesse e stadi evolutivi.



La motivazione profonda dell’accumulazione di risparmio (quando la famiglia si trova nella condizione, sempre più difficile nell’Italia odierna di produrlo) risale ad alcuni obiettivi e attenzioni del capo famiglia. Questi possono essere in estrema sintesi risalire alla ricerca di una tranquillità finanziaria che consenta di affrontare momenti di difficoltà, attingendo a risorse finanziarie accumulate nel tempo, nel rispetto del vincolo/obiettivo di ottenere anche la protezione del valore reale delle risorse accumulate. Come si confronta il “BTPil” con questo orizzonte? La risposta a questa necessità potrebbe già essere disponibile nello strumento dei BTP indicizzati all’inflazione, apparentemente destinati all’operatore famiglia sopra descritto, di fatto molto più utilizzati da operatori istituzionali che riescono a estrare sovraredditi derivanti da possibilità di arbitraggio offerte da un mercato secondario non ancora perfettamente efficiente (nei BTP “reali”, volendo, si può anche rintracciare una sfumatura di “Principe”, data dalla scelta del paniere su cui calcolare il tasso di inflazione utilizzato per l’aggiornamento del rendimento di tali titoli, non sempre allineato alla misura di erosione sofferta dalle famiglie creditrici).

Proporre un nuovo strumento come il BTPil, differenziato grazie a un riferimento esterno diverso rispetto a quelli già presenti e nuovo perché ancora mai proposto sui principali mercati mondiali, esige tuttavia un approfondimento anche sulla relazione fra tendenza del Pil e trend dell’inflazione italiana. Questa relazione, grazie agli effetti della globalizzazione e dell’esistenza dell’euro, è attesa lungo traiettorie diverse rispetto al passato. Non è più detto, ad esempio, che un riscaldamento del Pil (auspicabile per tutti, e gradito ai potenziali portatori di BTPil) sia premessa probabile di un surriscaldamento dei prezzi (alla fine sgradito a tutti, anche se è lo scenario sul quale lo Stato ha offerto Btp protetti dall’inflazione).

Sul terreno macro, resta comunque rilevante tutte le preoccupazioni emerse negli ultimi anni sulle reali prospettive del Pil italiano. Prospettive che – ormai è chiaro a tutti – scontano non solo fattori congiunturali o esterni, ma anche condizioni strutturali interne. La più preoccupante è la demografia negativa di cui il Paese soffre e che incombe mano a mano che si avvicinano all’età pensionabile le generazioni nate tra la seconda metà degli anni ’50 e gli anni ’60. Queste generazioni hanno prodotto a valle un vuoto demografico non colmato da un’immigrazione che non viene gestita con politiche proattive, ma viene passivamente sofferta in modo spesso irresponsabile.

Da dove pottrà venire lo sviluppo economico di un Paese la cui popolazione locale sarà presto prevalentemente pensionata, caratterizzata da età aanzata, durante la quale l’incidenza della necessità di cure mediche prevale rispetto alla produttività portata da generazioni più giovani?

Ogni investitore (compreso qui chi scrive) delegato dall’operatore famiglia a difendere il potere di acquisto reale del risparmio faticosamente accumulato con il lavoro quotidiano non è disinteressato in partenza a valutare il BTPil. Ma sarà certamente più interessato – operativamente interessato – di fronte a emittenti che esprimono condizioni economiche, demografiche e politiche più attraenti.