Jaki Elkann annuncia a giornalisti e analisti di Borsa che la strategia di Exor, holding della famiglia Agnelli punta con decisione sulla media industry. Che l’acquisto – perfezionato ieri – della prestigiosa quota di maggioranza relativa (43%) dell’Economist non è estranea al fatto che la principale partecipata di Exor (Fca, pure presieduta da Elkann) controlla a sua volta con l’84% Italiana Editrice (La Stampa di Torino e Il Secolo XIX di Genova) ed è con il 16% il primo azionista relativo di Rcs (“Il Corriere della sera” e “La Gazzetta dello Sport”). Aggiunge: “Le due partecipazioni verranno scorporate quando Fca perfezionerà la grande aggregazione nell’auto a cui l’avvocato Marchionne sta lavorando da tempo”. Per finire butta lì: “Pochi giorni fa ho incontrato Rupert Murdoch, in margine a una riunione del board di NewsCorp: è ottimista sulla ripresa in Europa e sullo sviluppo di Sky, anche in Italia. E mi ha detto che gli piacerebbe far crescere il Wall Street Journal nella Ue”.
Forse non avverrà mai o forse avverrà in parte. Forse le cose avverranno ma senza annunci: per necessità oggettiva, per fatto compiuto. Forse matureranno operazioni ancor più clamorose e non prevedibili o almeno non previste finora. Ma chi avrebbe predetto tre mesi fa che il Financial Times sarebbe stato “collocato” (forse non proprio “venduto”) in Giappone? E che, dopo 172 anni, la bible del capitalismo di mercato anglosassone sarebbe stata affidata al nipote dell’Avvocato? Nel ruolo di garante s’intende, ma lasciandolo comunque crescere oltre la famiglia Rothschild: anche se sterilizzandone per metà il potere di voto con una “pillola” societaria che avrebbe potuto essere studiata da Enrico Cuccia e avrebbe attirato i fulmini dei commentatori tricolori ispirati da una City da cartolina.
Di sicuro, in Italia, c’è qualcuno che teme che l’immaginaria conferenza stampa del presidente di Exor possa davvero tenersi, un giorno magari non troppo lontano. E non c’è dubbio che più di qualcuno stia già caricando a pallettoni le armi della polemica: gli Agnelli si sganciano dalla Fiat auto sostanzialmente decotta e sorretta tante volte dal contribuente italiano (dalla spesa militare in due guerre mondiali allo stabilimento di Melfi e alla mobilità lunga di Mirafiori) per diventare media mogul, senza neppure l’attenuante di un passaporto solidamente tricolore come quello di Silvio Berlusconi. E lo fanno dopo aver investito 7 miliardi di dollari in una grande compagnia di riassicurazione americana.
Non è detto, peraltro, che il dinamismo editoriale globale di Exor non incroci le strategie di Fininvest oppure quelle del premier italiano Matteo Renzi, che ha appena annunciato un piano nazionale banda larga e non fa mistero di voler riportare Telecom sotto l’ala pubblica della nuova Cassa depositi e prestiti. E in Telecom chi ha appena posato le valige di primo azionista se non Vincent Bolloré?
Il finanziere francese è un altro appassionato di finanza e media: Vivendi ha riorganizzato le attività di Havas, polo internazionale di editoria e pubblicità. Perché mai, d’altronde, Bolloré sarebbe entrato in Mediobanca, una decina d’anni fa, se non attratto – anche – dal mix di giornali e polizze custodito nelle vecchia via Filodrammatici?
Sbaglia certamente chi si limiterà a un improprio applauso para-nazionalistico per il rafforzamento di Exor nell’editore di un super-trophy brand. Ma sbaglierebbe anche chi non lasciasse all’Exor di Jaki Elkann – praticamente al suo esordio in chiave di autonomizzazione dalla Fca di Sergio Marchionne – il tempo e il modo di concepire e sviluppare una strategia di grande investitore editoriale: perché no, italiano-europeo-globale. Naturalmente lo dovrà volere lui. E non c’è bisogno di una conferenza stampa, ma se lo fa sapere al Paese forse può aiutare anche lui.