Il Pil italiano nel secondo trimestre è cresciuto dello 0,2% in termini congiunturali e dello 0,5% in termini tendenziali. Lo ha comunicato l’Istat, segnalando che “dal lato della domanda, vi è un contributo positivo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto negativo della componente estera netta”. Nel resto d’Europa, la Germania cresce dello 0,4%, la Spagna dell’1%, mentre la Francia non registra variazioni trimestre su trimestre. Abbiamo chiesto un commento a Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Professore, cosa ne pensa di questo dato sul Pil italiano?
È debole ma positivo. Emerge poi che quello che ci sta tenendo a galla è la domanda interna, che quindi merita più attenzione sul piano delle politiche economiche. La debolezza della nostra ripresa risalta ancora di più considerando i dati degli altri grandi paesi europei: in particolare la Spagna, che ha sofferto come l’Italia se non di più, ma cresce congiunturalmente dell’1%.
Giustamente lei ha sottolineato il contributo della domanda interna a questa seppur minima crescita. L’export sembra aver rallentato. Cosa potrà accadere ora visti i timori sulla situazione cinese?
Tra poco, con dati più dettagliati, capiremo se c’è stato un forte aumento della domanda interna o se le industrie che lavorano sull’estero fanno più fatica. Può anche essere che già nel secondo trimestre ci sia stato un riflesso del rallentamento cinese. Cosa possa accadere adesso è difficile dirlo. Certo è che se la Germania, che ha prosperato sui mercati asiatici dal 2002 in poi, dovesse avere dei problemi, qualche impatto ci sarà anche per noi, dato che in alcuni prodotti tedeschi, come le automobili, ci sono componenti italiani. Credo però che il vero problema sia un altro.
Quale?
In Italia abbiamo un tasso di disoccupazione del 12,7%. Secondo mie stime, in una situazione di equilibrio di partite correnti, il livello dovrebbe essere al 10%. E anche il tasso di disoccupazione strutturale indicato da Bruxelles si aggira su questa cifra. Possibile dunque che non possiamo arrivare almeno a questo livello? Dopotutto in Spagna si è arrivati da oltre il 27% a meno del 23%.
Su questo terreno è già stato predisposto il Jobs Act…
Il Jobs Act ha dato respiro alle imprese (e se una aveva già dei profitti gliene ha dati ancora di più). Il punto è far crescere la produttività, cosicché le aziende abbiano più spazio per aumentare sia i profitti che i salari.
Come possiamo ottenere questo risultato?
Credo che abbiamo di fronte una finestra temporale, che non so quanto rimarrà aperta, in cui potremmo spingere la domanda interna e far crescere così il Pil, e di conseguenza aumentare produzione e produttività, nonché l’occupazione. In primo luogo, bisogna avviare investimenti pubblici “buoni”, cosicché possano alimentare anche quelli privati. E poi il potere d’acquisto delle famiglie italiane meriterebbe di essere seriamente preso in considerazione.
Ecco, in questo senso siamo ormai prossimi alla definizione della Legge di stabilità: cosa dovrebbe fare il Governo?
In primis quanto ho detto sugli investimenti, poi sostenere non tutte le imprese, ma quelle orientate verso l’estero, privilegiando quelle a maggior tasso di innovazione. Si è poi parlato di tagli delle tasse: l’importante è che siano fatti bene e siano significativi. Mi sembra infine di capire che la manovra sarà di circa 30 miliardi: mi sembra difficile che non sia possibile ritagliare almeno mezzo di Pil mirato esclusivamente sulle famiglie, dato che sono loro che spendono.
L’eliminazione della Tasi sulla prima casa può andare in questa direzione?
La tassazione sugli immobili, per come è strutturata, colpisce a caso, come una pallottola impazzita. Eliminare la Tasi sulla prima casa certamente può aiutare una ripresa del settore immobiliare. Ma credo che sarebbe più saggio dimezzarla, cancellando magari l’altra metà l’anno prossimo e usando le risorse “risparmiate” per un’operazione diversa da quella degli 80 euro, che non sono stati particolarmente efficaci. Forse avrebbero funzionato meglio se avessero avuto come base di riferimento l’unità di spesa, che è la famiglia. Dunque, possiamo immaginare di usare risorse per cominciare almeno ad allinearci alle politiche famigliari francesi o tedesche?
(Lorenzo Torrisi)