È una riforma dalle prospettive win-win quella in dirittura d’arrivo per il Credito cooperativo italiano. Una di quelle partite che da cui tutti possono uscire vincitori giocando assieme e che invece nessuno può permettersi di perdere da solo.

Non possono e non vogliono perdere la partita della riforma le 370 Banche di credito cooperativo italiane, con il loro milione abbondante di soci – principalmente piccoli operatori d’impresa e famiglie – e quegli altri numeri che ancora contano nell’Azienda-Paese: 163 miliardi di risparmio italiano intermediato in 135 miliardi di credito all’economia italiana. È un decimo del sistema bancario nazionale, diffuso orizzontalmente e capillarmente in tutti i territori, con 4.400 sportelli (in alcuni comuni ancora la sola presenza bancaria) e 37mila addetti. È un pezzo di Azienda-Italia che non poteva non esser messo sotto pressione dalla crisi finanziaria globale che in Europa ha raso al suolo intere realtà bancarie, anche nel segmento cooperativo. È d’altronde uno dei più grandi “corpi intermedi” della società italiana, vecchio quasi quanto lo Stato unitario e depositario di forti valori economico-sociali come la mutualità e la sussidiarietà: fra persone, fra imprese, fra comunità e territori. In tutte le regioni, nessuna esclusa.



Non possono e non vogliono perdere la partita di un moderno Credito cooperativo le autorità creditizie: il Tesoro e la Banca d’Italia. È stato il Governo, lo scorso gennaio, a sollecitare con forza le Bcc a evolvere, a ripensare i loro modelli di governance e gestione, le proprie reti e piattaforme centrali. Lo hanno fatto, Palazzo Chigi e il Tesoro, anche in risposta al pressing della nuova Unione bancaria: accelerando la lunga uscita dalla crisi globale, Ue e Bce hanno infatti alzato l’asticella degli standard dell’attività bancaria (Bruxelles ha inserito la riforma del Credito cooperativo fra le sei raccomandazioni al Governo italiano per il 2015). Al Credito cooperativo – in sintesi – è stato chiesto anzitutto di rivedere e reinventare la storica autonomia delle singole Bcc: per prevenire rischi di singole crisi inevitabilmente più alti con aziende di piccola dimensione e talora troppo “solitarie” nel governo societario.



La prescrizione di studiare strutture più raccordate e funzionali è stata confermata anche in relazione a un seconda esigenza-obiettivo: quella di garantire al Credito cooperativo italiano un accesso adeguato al mercato dei capitali. La base patrimoniale aggregata corrente del sistema (20 miliardi di euro) non è trascurabile, neppure in termini di coefficienti: ma la crisi esplosa dal 2007 e la progressiva riscrittura di regole e prassi impongono oggi a qualunque soggetto voglia far banca parametri più stringenti sia per la base patrimoniale corrente che per eventuali approvvigionamenti d’emergenza. Governance e management più efficaci e più solide basi patrimoniali guardano ovviamente a un credito cooperativo che – assieme alle altre banche italiane – torni a girare a pieno regime nel finanziamento dell’economia.



L’Esecutivo italiano ha scelto di non imporre autoritativamente il cambiamento alle Bcc: come invece è avvenuto per le grandi Banche Popolari, obbligate a trasformarsi in Spa. È stata invece data fiducia – lungo un percorso parallelo a quello individuato per le Fondazioni bancarie – alla capacità di autoriforma di un sistema che si confronta alla pari con i sistemi gemelli nell’Europa continentale (dalla Germania, alla Francia, all’Olanda) e che ha già dimostrato più volte di sapersi misurare con l’innovazione. L’ultima risale al 1994, con l’avvento di un nuovo Testo unico bancario allineato a una regulation Ue che continua a rispettare il credito cooperativo come unica eccezione complementare al modello-base di banca impresa orientata al profitto. È stato quindi lasciato spazio al confronto operativo fra le Bcc e la loro Federazione e la Banca d’Italia, che ha potuto esercitare appieno i poteri di supervisione domestica lasciati dall’Unione bancaria alle authority nazionali. E la sintesi di merito di un confronto serrato e costruttivo hanno trovato spazio nelle ultime Considerazioni finali del Governatore Ignazio Visco.

“Affinché le banche di credito cooperativo possano continuare a sostenere territori e comunità locali preservando lo spirito mutualistico che le contraddistingue – ha detto Visco lo scorso 26 maggio all’Assemblea annuale di Bankitalia – vanno perseguite forme di integrazione basate sull’appartenenza a gruppi bancari. La scarsa diversificazione dei rischi e la difficoltà di irrobustire il patrimonio stanno determinando, in non pochi casi, situazioni di crisi. L’associazione di categoria è impegnata a formulare proposte concrete, che saranno valutate alla luce della loro capacità di rimuovere gli ostacoli alla ricapitalizzazione e di risolvere i problemi di questi intermediari. Il cambiamento non può essere procrastinato”.

Già pochi giorni dopo la Federcasse – l’associazione di categoria citata da Visco – ha votato un pacchetto completo di linee di autoriforma, che alla fine di luglio è stato ribadito dal comitato esecutivo. Se il calendario lo avesse consentito, le proposte sarebbero già in discussione nelle aule parlamentari: che immediatamente dopo la pausa estiva saranno comunque chiamate a “restituire” nei tempi più stretti possibili un provvedimento di legge. Non un punto di arrivo ma un punto di partenza sicuro per gli aggiornamenti di governance e i piani industriali con cui le Bcc e le loro strutture centrali daranno sostanza alla riforma nelle imprese e sul mercato.

“Patto di coesione”, “meritevolezza”, e “Gruppo Bancario Cooperativo” sono le parole-chiave del progetto di autoriforma: destinate a rafforzare – e non a cancellare – le radice orizzontale del Credito cooperativo. Nel disegno Federcasse-  è emerso anche dalle prime indicazioni fornite dal presidente Alessandro Azzi – ciascuna Bcc sarà d’ora in poi chiamata ad esprimere una propria “meritevolezza” parametrata su indicatori di solidità, efficienza, trasparenza. Più “meritevole” il singolo istituto si confermerà via via all’esame della propria “capo-gruppo”, più rimarrà “sovrano” sulla propria operatività. Un “patto di coesione” di nuova generazione è destinato a rafforzare la responsabilità reciproca in chiave di vigilanza mutualistica: ciascuna Bcc deve rispondere in misura più strutturata alle consorelle, che sono d’altronde chiamate a garantire più e meglio di prima la stabilità domestica dell’intero Credito cooperativo.

Una volta che governo e Parlamento avranno consegnato il nuovo “manuale di governance”, le Bcc saranno subito chiamate alla “fase due”: la costruzione del Gruppo Bancario auspicato dalle autorità creditizie. L’opzione Federcasse per il gruppo unico nazionale è evidente ed è ispirata all’impulso stesso della riforma: consolidare il Credito cooperativo, non indebolirlo. Renderlo più competitivo sul mercato euro dei servizi bancari, non aprirlo a laceranti concorrenze interne, magari con una “caccia all’iscrizione” – e magari caricata di strumentalizzazioni politiche – che selezionerebbe alla rovescia le banche più forti da quelle che hanno più bisogno di recuperare “meritevolezza”.

Sembra inoltre ragionevole che il cantiere-laboratorio coinvolga l’Iccrea, ma anche le altre due, più piccole, banche di secondo livello: le Casse centrali di Trento e di Bolzano. Servono capacità organizzative e manageriali considerevoli infatti per svolgere il ruolo che ad esempio ha – nella vicina Francia – la Caisse Nationale du Crédit Agricole: una holding operativa quotata in Borsa ma saldamente controllata dalle Casse regionali. “Saremo necessariamente aperti ad aprire a soci terzi il capitale della futura capogruppo cominciando da coloro che condivideranno finalità e modalità operative del nuovo Gruppo bancario cooperativo”, ha osservato Azzi, confermando in ogni caso che il controllo maggioritario debba restare nelle mani delle Bcc .

Il futuro, in ogni caso, comincerà comincerà subito: la terza fase della riforma, nel percorso delineato da Azzi, è la redistribuzione e l’arricchimento di contenuti, di esperienze, di risorse personali nel nuovo Gruppo e in particolare nella capogruppo: deve venire fuori “il meglio del Credito cooperativo”, ha detto il presidente, che guarda apertamente alle generazioni più giovani che già popolano i quadri dirigenti di Bcc e federazioni regionali. Sovrana – nelle Bcc e fra le Bcc italiane – è comunque sempre stata la democrazia sociale: quindi ciascuna Bcc sarà libera di aderire o no ai modelli che seguiranno la riforma normativa. Con un solo vincolo, ma molto perentorio: una Bcc potrà trasformarsi in una Spa o in una Popolare. Ma in questo caso il patrimonio indivisibile sarà “devoluto”: non è disponibile per i soci infatti e andrà – come prevedono le norme – ai Fondi mutualistici. Una forma ulteriore di sussidiarietà per continuare ad essere al servizio delle imprese cooperative anche di altri settori.