Quale impatto avrà la crisi della Cina sulla ripresa in Italia? Sono possibili sia un scenario apocalittico di grave recessione mondiale, sia un impatto solo minimo con perfino qualche vantaggio. Il fattore dirimente sarà la capacità del governo cinese di riequilibrare il sistema interno affinché non imploda provocando uno tsunami globale.



Da un lato, la nuova gestione di Xi Jinping, molto più accentrata di quella esercitata da èlite del passato, fa temere incapacità. Ha voluto accelerare la trasformazione del modello economico trainato dall’export in uno spinto più dai consumi interni. Scelta corretta, ma attuata con mezzi troppo squilibranti: bolla borsistica e facilitazione di indebitamenti eccessivi per pompare il mercato interno. Quando il sistema è scoppiato, ha adottato rimedi incerti. In sintesi, la Cina sta soffrendo una forte contrazione della crescita, una crisi bancaria e una sbolla borsistica.



D’altro lato, la Cina è un sistema autoritario con efficaci mezzi di controllo e repressione. Inoltre, ha riserve in dollari per quasi 4 trilioni, sufficienti per “tappare il buco”. In particolare, vuole accreditarsi come sistema credibile nonché ottenere per lo yuan lo status di valuta convertibile nella speranza di sostituire il dollaro come riferimento mondiale. Ciò rende probabile una limitazione del disordine interno e un limite alla svalutazione pur questa necessaria per rilanciare la crescita. In sintesi, è improbabile che nel breve-medio termine la Cina imploda.

Nel futuro più lontano la crescita insufficiente in una nazione dove ancora 600 milioni di persone aspettano un accesso alla ricchezza potrebbe creare rivolte che eccedono le capacità repressive, ma è presto per valutarlo. Quindi l’effetto dovrebbe limitarsi a minori importazioni di materie prime, svalutazione delle monete delle nazioni che le esportano e loro minor crescita, con un impatto negativo, ma non fatale, sulla domanda globale.



Per l’Italia significa condizioni meno favorevoli all’export, complicate dalla contrazione di quello tedesco più sensibile alle dinamiche asiatiche. Ma non è prevedibile un impatto eccessivo. Inoltre, la fuga dei capitali dalla Cina, da mesi, si dirige verso dollaro ed euro, rafforzando gli investimenti nell’area del secondo. I minori prezzi delle materie prime avranno effetti deflazionistici, in questo caso “buoni”, e permetteranno alle Banche centrali di mantenere posture espansive che aiuteranno la tenuta delle Borse.

Il sistema non crollerà, ma l’Italia dovrà accelerare la stimolazione della crescita interna per dipendere meno dall’export.

 

www.carlopelanda.com