La meritocrazia consente alle organizzazioni di lavorare in modo efficace e di contrastare la corruzione in maniera “naturale”. I tentativi del legislatore di affrontare il fenomeno con sempre nuovi strumenti normativi rischiano di essere vani se non si creano le condizioni per cui nella Pubblica amministrazione i dipendenti finalmente sentano di poter crescere professionalmente, di essere valorizzati e stimati per il proprio lavoro e di fidarsi l’uno dell’altro.
Senza fiducia e meritocrazia le leggi, infatti, spesso non vengono applicate in attesa eterna di decreti attuativi o regolamenti interni, o comunque rimangono distanti da come vengono agiti i comportamenti reali. È quindi importante considerare come le persone vivono realmente nel loro ambiente organizzativo e come interagiscono tra di loro. Senza un clima favorevole, senza meritocrazia e senza un reale coinvolgimento delle persone, le leggi da sole spesso non colgono l’obiettivo.
Per questo motivo insieme a Great Place To Work abbiamo deciso di allargare la nostra analisi sulla percezione della meritocrazia nelle aziende di matrice culturale italiana anche all’interno della Pa. Non a totale sorpresa, il Forum non ha ancora trovato un solo ente disposto a interrogare i propri dipendenti sulla loro percezione del proprio ambiente di lavoro. Abbiamo perciò agito in maniera parallela e siamo riusciti, tramite un campionamento casuale, a stimare la percezione che i dipendenti pubblici hanno della meritocrazia nel loro luogo di lavoro (buona leadership, valorizzazione, collaborazione, premio al merito) e a compararla con le aziende private e con le migliori organizzazioni in Italia.
Questi i risultati di sintesi. Come si vede nel grafico a fondo pagina, solo un dipendente su 5 crede che vi sia meritocrazia nella Pa contro i migliori casi in Italia (spesso multinazionali) in cui ben 4 persone su 5 credono che vi sia meritocrazia. La tesi di fondo è quindi confermata: in un contesto percepito in modo così negativo, la corruzione non può che nascere e diffondersi indipendentemente dagli strumenti anche seri, ma spesso tardivi, che vengono introdotti dal legislatore (vedasi Anac).
Per aggredire la corruzione prima che diventi endemica (e non solo pesantemente diffusa) all’interno della Pa bisognerebbe aggredire quindi la scarsa meritocrazia che è, in ultima analisi, una delle cause principali della corruzione. Incentrare quindi il dibattito sulla Pa sulla corruzione e non sul buon funzionamento della macchina pubblica può avere effetti perversi.
Lo stesso dibattito pubblico sulla corruzione ha da un lato l’effetto benefico di porre infatti attenzione al problema, dall’altro rischia di minare alla base la possibilità di imporre rapidamente maggiore meritocrazia. La meritocrazia in un’organizzazione non può nascere infatti in un asfissiante sistema di regole, per lo più spesso opache e di applicazione incerta, ma si avvantaggia di una maggiore valorizzazione e responsabilizzazione delle persone.
Proprio dalle persone, in particolare quelle straordinariamente impegnate di Transparency Italia, nasce il progetto Whistleblowing come strumento “non normativo” di risposta alla Corruzione. In meno di sette mesi di sperimentazione della piattaforma (certificata da 4 certificatori indipendenti tedeschi e americani) Alac -Allerta Anti Corruzione è confortante sapere che ci sono già state 109 segnalazioni di valenza “Buona” o addirittura “Ottima”. Consideriamo ancora più significativo che la maggioranza delle segnalazioni proviene dal Centro Sud Italia, di cui intorno al 50% generate in Lazio e Campania.
Il Whistleblowing si è quindi già dimostrato uno strumento utile e semplice, che può servire a evidenziare situazioni critiche e a intervenire. Con il Whistleblowing si può diffondere l’esempio di chi con coraggio ha denunciato casi di corruzione per incentivare comportamenti onesti e “sconsigliare” i corrotti. Questi casi di eroi civili vanno poi quanto più possibile raccontati e premiati nel rispetto della privacy e della sicurezza di chi denuncia casi di corruzione.
Tuttavia bisogna però dire che il Whistleblowing non può garantire da solo che non si ripetano casi di abuso se non si creano delle condizioni di reale meritocrazia: “prevenire” è sempre meglio che “intervenire”. Da questo punto di vista uno dei fattori più importanti per la diffusione della meritocrazia nella Pa è la selezione e valutazione della leadership. Questa non deve essere influenzata (troppo) dal criterio della fedeltà politica, ma dalla professionalità e dai risultati ottenuti. La fedeltà politica o la prossimità al potere senza un metodo trasparente di selezione tendono infatti a distruggere la fiducia nelle organizzazioni e la possibilità di introdurre criteri oggettivi di valutazione delle performance.
Oltre alla selezione del vertice, che è appunto strategica, importante è l’introduzione di sistemi di crescita interna trasparenti e di agevolazione del turnover. In questo senso sembrano positive le riforme annunciate dal governo (ruolo unico, 4+2), che potenzialmente introducono un mercato della dirigenza. Queste riforme andrebbero probabilmente estese a strati più ampi dei dipendenti pubblici, dando la possibilità a tutti di poter crescere, ma anche di poter essere licenziati o di poter scegliere di lavorare nel settore privato.
Infine, per agevolare la meritocrazia sarebbe necessario creare le condizioni perché vi sia trasparenza sui risultati delle amministrazioni e sulla percezione dei servizi da parte del cittadino. Da questo punto di vista, come nel caso della scuola, sono le stesse famiglie e i cittadini a dover diventare più esigenti, e gli enti di controllo a dover fornire i dati in modo appunto trasparente e semplice (addirittura eccedendo ove appena possibile i “minimi di legge”). La qualità del servizio è infatti un ottimo segnale di meritocrazia e di conseguenza di scarsa corruzione. La sola anticorruzione senza meritocrazia e trasparenza purtroppo non basta più, così come le leggi senza le persone giuste che le applichino.