«I segni di ripresa ci sono e mi trovo d’accordo con Carlo Cottarelli: l’Azienda-Italia ha la possibilità di crescere più dell’1% nel 2016. Però tutti – nel mondo delle imprese – dobbiamo ritrovare coraggio, capacità di rischiare. Questa ripresa è molto diversa, quasi unica come la crisi che l’ha preceduta: non possiamo perdere l’opportunità di affrontare il cambiamento». Miro Fiordi, amministratore delegato del Credito Valtellinese e vicepresidente dell’Abi, è a Rimini per una conversazione sulle prospettive dell’economia globale assieme all’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti.
Vecchio amico del Meeting, è andato subito a visitare la mostra “Tenere vivo il fuoco – Le sorprese dell’arte contemporanea”, sostenuta dal Creval. «Ecco, l’arte contemporanea è spesso provocatoria, sfidante, ti mette in crisi», annota Fiordi. «È quello che sta accadendo oggi alla maggioranza delle imprese italiane. Nessuna può ormai far finta che – all’uscita faticosa da questa crisi lunga e pesante – la sfida della globalizzazione non sia ormai di tutti. Una sfida da accettare qui e oggi, con i suoi problemi e le sue opportunità».
Cosa devono fare le imprese italiane per far sì che il 2016 sia davvero l’anno primo della ripresa?
Non devono giocare in difesa. E parlo di due fronti precisi: il primo è quello dell’imprenditorialità e managerialità. Le aziende devono fare il pieno, anzitutto di nuovo capitale umano, di asset di conoscenza, di risorse strategiche per salti di qualità competitivi. Quando anche qui al Meeting sento insistere sull’emergenza educativa, io non possono non pensare subito al sistema delle imprese.
E il secondo fronte?
Le imprese devono certamente rafforzare anche la base patrimoniale finanziaria. Le banche stesse – che in Italia rimangono l’infrastruttura finanziaria portante – sono chiamate dall’Unione bancaria a erogare credito con standard più complessi e stringenti. Ma è l’intero mercato capitali – forse il più globalizzato di tutti – a generare un’offerta di finanziamenti sì abbondante, ma sempre di più rivolta soltanto a chi lo merita davvero. E la prima condizione di “merito di credito” è la capacità diretta dell’imprenditore di investire capitale proprio e attirare altri capitali primari.
Il sistema bancario italiano è fuori dal guado della crisi?
Quel che sicuramente le banche italiane hanno fatto è lavorare sulle strutture di costo, affrontando nel contempo l’enorme pressione della nuova regolamentazione internazionale. Continua a non essere facile cambiare e rendere competitivo il business model italiano di una banca commerciale di territorio quando le regole cambiano o si accumulano di mese in mese. E quando, qualche volta, l’Europa bancaria non è quel terreno di gioco livellato che tutti affermano sia.
Il carico di crediti deteriorati rimane un problema: gli ultimi provvedimenti del governo per il loro smaltimento sono sufficienti?
Premesso che uno dei segnali di ripresa in avvio è proprio il trend meno preoccupante delle sofferenze, il governo ha sicuramente mostrato di capire che le banche italiane hanno diritto a poter trattare fiscalmente le perdite su crediti come le loro concorrenti europee. Organi di vigilanza e operatori di mercato non possono continuare a confrontare bilanci costruiti con regole diverse. Soprattutto ora che la supervisione unica europea sta entrando a regime, con un calendario fittissimo di test, è indispensabile che il giudizio complessivo sulla sostenibilità di un’azienda bancaria e della sua strategia non vengano inquinati da applicazioni non corrette degli standard. Purtroppo negli ultimi anni è accaduto.
Il governo ha varato per decreto un’impegnativa riforma delle Popolari…
Il segnale è stato indubbiamente forte, ma non lo considero in contraddizione con il cambio epocale di scenario. Quello che conta è che una banca funzioni, che sia una buona banca, che serva bene la sua clientela sul suo mercato: la governance è importante, ma è uno strumento. La trasformazione in Spa non minaccia di per sé una buona Popolare. E restare cooperativa non è garanzia di stabilità e sviluppo per una banca di territorio media o grande. Ma la categoria ha compreso lo spirito della riforma.
Molti – dentro e fuori il mondo del credito popolare – paventano ancora i rischi di scalate ostili alle nuove Popolari Spa...
Sta emergendo come ipotesi credibile l’introduzione del limite di voto al 5%: periodo che potrebbe essere più esteso di 24 mesi immaginati. Ovviamente la soluzione sarà il risultato del confronto con governo e organi di vigilanza, ma credo di poter confermare che la cornice del confronto è buona, costruttiva. Le Popolari hanno imboccato la via della riforma con la stessa serietà con cui hanno via via adottato le nuove “guidelines” di vigilanza. È legittimo che chiedano il tempo necessario e sufficiente per poter approdare a nuovi condizioni di competitività.
(Antonio Quaglio)