«Il governo purtroppo sta arrivando molto in ritardo e con pochissimo entusiasmo sul versante del processo di revisione della spesa. Invece questa doveva essere la fonte primaria per affrontare la prossima Legge di stabilità». Lo afferma Nicola Rossi, docente di Analisi economica all’Università Tor Vergata di Roma ed ex deputato prima del Pd e poi del Gruppo Misto. La Legge di stabilità è uno dei principali impegni che il governo si troverà ad affrontare a partire da settembre, in una situazione di cauta ripresa che necessita però di una decisa “spinta” per non arenarsi nelle secche di uno scenario internazionale incerto. Stando ai dati Istat, infatti, nel secondo trimestre 2015 il Pil italiano è cresciuto dello 0,2%, mentre per Moody’s nel 2016 l’incremento sarà pari all’1%.
In quale scenario si inserirà la prossima Legge di stabilità?
Se lo scenario fosse quello descritto da Istat e Moody’s, credo che ci sarebbero non pochi problemi. Il governo ha previsto per il 2016 un Pil in aumento dell’1,5%. Una minore crescita renderebbe quindi più complicata la stesura della Legge di stabilità. Si ridurrebbero gli introiti e sarebbe più complicato il raggiungimento degli obiettivi europei. Se ha ragione Moody’s, lo scenario sarebbe un po’ meno favorevole di quanto il governo stesso non si aspettasse.
Quali ritiene che debbano essere i cardini della Legge di stabilità?
La mia impressione è che il governo purtroppo stia arrivando molto in ritardo e con pochissimo entusiasmo sul versante del processo di revisione della spesa. Invece questa doveva essere la fonte primaria per affrontare la prossima Legge di stabilità. Ciò significa che il governo dovrà ripercorrere la strada di una trattativa con l’Ue per acquisire margini addizionali di flessibilità.
Ritiene che questa trattativa possa avere successo?
Francamente non riesco a capire come si possa giustificare una nuova richiesta di flessibilità. Mi auguro vivamente che i partner europei non forniscano delle aperture in questo senso. Con il debito pubblico che si ritrova l’Italia, visto che si vede un inizio di ripresa, è arrivato il momento di dare segnali molto precisi sull’aggiustamento della finanza pubblica, ed evitare ulteriori dosi di lassismo. Il disavanzo equivale a imposte future e non a un regalo. Le imposte future sono in larga misura tenute in conto da consumatori e imprese nei loro comportamenti attuali.
Che cosa ne pensa dell’abolizione della Tasi sulla prima casa?
Il dibattito sull’abolizione della tassa sulla prima casa è molto influenzato dal livello complessivo di pressione fiscale e dalla modalità con cui il patrimonio fiscale è stato tassato negli ultimi anni. L’imposizione sulla prima casa ci appare particolarmente odiosa perché il prelievo sul patrimonio immobiliare è cresciuto in tempi brevissimi in modo esponenziale. Si è inoltre sommato a una pressione fiscale particolarmente elevata.
Con quali conseguenze?
In un sistema fiscale ben ordinato, in cui la pressione fiscale è a livelli ragionevoli, cioè del 5-6% al di sotto della soglia attuale, una qualche forma di tassazione della prima casa sarebbe anche accettabile. Così però non lo è. Il modo in cui si è intervenuti sulla prima casa e il livello complessivo di pressione fiscale rendono oggi particolarmente popolare una forma di detassazione della prima casa.
Meglio tassare lavoro e imprese o il patrimonio?
Noi tassiamo molto lavoro e imprese, ma poco il patrimonio. Finché però non decideremo che l’operazione da compiere è l’abbattimento dell’intera pressione fiscale, è evidente che l’impressione dei contribuenti sarà sempre quella di un carico fiscale del tutto insostenibile. E non è solo l’impressione ma la verità.
A determinate tasse non dovrebbero corrispondere anche dei servizi?
Sì, è così. La Tasi (Tassazione sui servizi indivisibili) dovrebbe andare a coprire i servizi connessi al possesso di un appartamento. Nella realtà è costruita come una patrimoniale vera e propria, che non ha niente a che fare con i servizi erogati. E se anche i servizi indivisibili fossero effettivamente pagati attraverso la Tasi, mi domando dove vadano a finire le altre imposte che versiamo oggi. È un tema che non va valutato solo in astratto, e in concreto la sensazione che i cittadini hanno è quella di una tassazione enorme, con elementi truffaldini e quindi difficile da comprendere e da accettare. E soprattutto di una tassazione largamente sproporzionata rispetto alla qualità e alla quantità dei servizi che vengono resi.
(Pietro Vernizzi)