“Abbattere le tasse fa bene”. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan dal Meeting di Rimini si è allineato ieri, senza riserve, sulla linea tracciata dal premier Matteo Renzi. “Ma perché l’operazione abbia un effetto positivo – ha aggiunto – occorre che chi ne beneficia percepisce che l’abbattimento sia permanente”. È con questo spirito che il responsabile dell’economia, a pochi giorni dalla Legge di stabilità, traccia le linee della strategia di governo: non ci sono molte munizioni da spendere per la crescita (“Mi piacerebbe – ha commentato – tagliare 50 miliardi di tasse domani, come molti mi suggeriscono, magari!”), perciò tanto vale concentrarsi sul finanziamento dei tagli su “un orizzonte medio-lungo, pari a una legislatura”. 



Strategia che promette di avere un impatto immediato modesto sull’incremento del Pil, che pure resta il problema numero uno (“Sono 20 anni – ha detto – che non abbiamo tassi di crescita degni della nostra ricchezza”), ma che può innescare un circuito virtuoso, ovvero “un intervento macroeconomico e soprattutto uno microeconomico che riesca a cambiare i comportamenti delle imprese e delle famiglie. Se questo cambiamento non avviene la ripresa della crescita resterà debole e insoddisfacente”.



In questa cornice si troverà modo per intervenire sulla questione meridionale. “Cercheremo di capire come, nel vincolo delle risorse disponibili, si possano immaginare agevolazioni fiscali per il Sud” senza però incappare nella “disciplina sugli aiuti di Stato”. Ma l’azione di governo si svilupperà soprattutto sul fronte dei tagli sostenibili nel tempo, in più direzioni: dopo gli 80 euro per “equità sociale” e misure su “lavoro e crescita dell’occupazione”, i prossimi passi saranno “sostegno alle imprese e alle famiglie sulle tasse sulla casa, poi vogliamo tornare ad aiutare le imprese e i redditi più bassi”. E poi ci sono le riforme: “Il mercato del lavoro, il sistema di giustizia civile, la Pubblica amministrazione, la scuola che è la riforma chiave che crea il capitale umano, bisogna introdurre le riforme e poi attuarle”. 



Fin qui la ricetta, peraltro tradizionale, che non sconta nuove difficoltà in arrivo dalla Cina (“che oggi non è un problema ma potrebbe diventarlo se la situazione dovesse peggiorare”, ma è anche una grande opportunità per l’export), né s’illude più di tanto sui margini europei a disposizione del governo per gli “investimenti, che sono l’anima della crescita, la cosa più importante”.

Come Matteo Renzi ha voluto annunciare una strategia d’attacco e di cambiamento, con l’obiettivo di “liquidare il ventennio passato” a suon di spallate, così Padoan ha sposato la tesi dei piccoli passi e delle piccole promesse, purché credibili e affidabili nel tempo. Non c’è contraddizione tra le due dottrine: il governo sembra compatto sulla scelta di prevedere, come prossimo passo, il terreno delle tasse sulla casa, con l’evidente obiettivo di raggiungere al più presto risultati che l’elettorato possa toccare con mano. 

Una strategia di buon senso, dunque. Ma porterà risultati? Oppure tra un anno, nonostante le iniezioni di ossigeno della Bce e il calo del petrolio saremo ancora alle prese con una crescita da zero virgola? Padoan si dice ottimista: l’Italia sta rispettando le tabelle di marcia. Il che però vuole anche dire che, anche senza shock esterni possibili, la crescita sarà ben lontana dai due punti percentuali e che, come afferma l’Ocse, non torneremo ai livelli del 2007 prima della metà del prossimo decennio. 

Miracoli non ne possiamo fare, può ribattere a ragione il ministro. Ma ci sono almeno due tipi di riforme, a costo zero e onerose, su cui merita accelerare. Dice giustamente Padoan che occorre “rendere facile la vita a chi rischia le proprie risorse per creare ricchezza e fornire nuova occupazione”. Sembra facile, ma nel corso degli anni si è consolidata una forte diffidenza nei confronti dell’impresa o, più semplicemente, di chi rispetta l’etica del lavoro. Nelle statistiche internazionali, ci informa un italo-americano di grande successo, il gestore Ray Dalio, l’Italia è il Paese dove la frase “il duro lavoro porta al successo” ha l’indice di gradimento più basso, mentre la frase “la concorrenza è dannosa” ha un alto indice di gradimento. Sradicare mentalità, assieme a una lotta senza compromessi o calcoli politici alla corruzione (Roma è il Vietnam delle buone intenzioni di Renzi), è la prima, più importante riforma. Non si tratta di cercare scorciatoie, premendo sull’Agenzia delle Entrate (che in un Paese nomale è indipendente dall’esecutivo) o sulla magistratura che si centra l’obiettivo, ma con un rigoroso rispetto della legge che dalle nostre parti è rivoluzionario. 

La seconda sfida riguarda l’Europa: le riforme e il rispetto dei parametri di bilancio non sono sufficienti a rilanciare la crescita, come sa benissimo Padoan. La via classica, in situazioni come l’attuale, passa dal deficit di bilancio che ci è inibito dalle regole. L’alternativa è la distribuzione delle risorse in chiave europea con il flusso di capitali dai paesi in surplus a quelli in deficit. Una politica di risvolti potenzialmente pericolosi (basti pensare ai disastri provocati dai prestiti tedeschi alla Grecia a inizio millennio) se non viene accompagnata da precise garanzie ai creditori sui criteri di gestione degli investimenti. 

Non è un obiettivo facile, ma l’Italia deve fare la sua parte. Altrimenti, la prossima crisi ci coglierà, al solito, impreparati e sempre più vulnerabili. 

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