«La crisi della Borsa cinese nasce dalla bolla immobiliare, ma le sue vere radici affondano in un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda. Un problema che non riguarda soltanto Pechino ma anche i Paesi europei, in primo luogo la Germania. È questo il problema da tamponare se non vogliamo che si ripeta un’altra crisi come quella del 2008». Lo rimarca Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo il lunedì nero in cui la Borsa di Shangai ha registrato il -8,5%, in settimana le cose sembrano essere tornate alla normalità. Almeno all’apparenza.



I rischi per l’economia mondiale vengono realmente dalla Cina?

Sì, il rischio viene dalla Cina. È un rischio forte e che non è puramente speculativo, ma ha le radici in una bolla immobiliare che si è ingigantita nel corso di questi anni. È sufficiente vedere il ritmo di nuove costruzioni in cui la Cina si è imbarcata. Ora è scoppiata una bolla che ha delle radici reali negli investimenti immobiliari e in un eccessivo indebitamento che assomiglia a quello americano del 2007.



È possibile che si ripeta la crisi del 2008?

Quella del 2008 è stata una crisi mondiale. Per sei mesi si è creata una situazione in cui sembrava che il mondo economico andasse in frantumi. L’intervento molto pronto della Fed ha evitato che ciò avvenisse. Gli Usa del resto sono un mercato finanziario fortemente integrato con il resto del mondo.

Nel caso della Cina dobbiamo attenderci uno sviluppo analogo?

È possibile, ma in linea di principio il governo cinese dovrebbe avere un grado maggiore di controllo sul sistema finanziario. Il rischio di contagio dovrebbe quindi essere minore. Il condizionale è d’obbligo perché questo è il primo episodio in cui la Cina incontra una grande crisi finanziaria, ed esiste quindi la possibilità che da parte di Pechino ci siano degli errori. Un errore cinese nella gestione del rischio di contagio produrrebbe un impatto particolarmente violento.



Che cosa si può fare per tamponare la nuova crisi?

Prima si sgonfia la bolla speculativa e meglio è. Per Pechino ciò significherà comunque dei mesi “non facili”. Anche se per fortuna in Cina si ragiona ancora non di flessione ma di un rallentamento della crescita maggiore del previsto. Se ciò avvenisse sarebbe però grave, e questo per una ragione fondamentale.

Quale?

Oggi nel mondo esiste un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda. Se anche in un Paese enorme come la Cina il risparmio non trova la via degli investimenti, in quanto la domanda è bassa e l’offerta è alta, allora i problemi diventano complicati per tutti.

Il rimbalzo in settimana delle Borse europee è stato un’illusione?

Il rimbalzo va preso con cautela, perché può essere guidato da aspettative di diverso tipo. In primo luogo dal fatto che l’effetto panico, che si è trasmesso a tutto il mondo, ha fatto cadere le quotazioni azionarie e quindi in questo momento ci sono titoli che potrebbero diventare interessanti da acquistare.

 

La crisi finanziaria si trasmetterà all’economia reale?

Senz’altro si trasmetterà all’economia reale della Cina. Va del resto notato che la crisi nasce da un lieve intervento sul tasso di cambio cinese, pari all’1,9%, che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Lo squilibrio che già covava da tempo a quel punto è scoppiato. Gli effetti dello sgonfiamento della Borsa di Shangai andranno a scaricarsi inevitabilmente anche sui Paesi che hanno forti rapporti di scambio con la Cina, tra i quali c’è anche la Germania.

 

Il legame tra Cina e Germania si può tradurre in un’ulteriore crisi europea?

È questo il vero rischio per l’Italia: un rallentamento della crescita di Pechino che a seguito di questa crisi finanziaria rimbalzi sulle esportazioni tedesche in Cina. L’Italia ha un ridotto volume di scambi con Pechino, ma noi siamo elevati fornitori di macchinari e prodotti intermedi alla Germania che a sua volta esporta in Cina.

 

Da che cosa dipenderà il fatto che la crisi si propaghi o meno alla Germania, e quindi anche all’Italia?

La crisi è avvenuta nel momento in cui il governo cinese stava pensando di bilanciare la corsa all’esportazione con una maggiore domanda interna. Uno “sbilanciamento” che vale in particolare per la Germania, che ormai è troppo esposta sui mercati esteri. È questo il problema chiave di Berlino e non solo.

 

La Germania correggerà questo sbilanciamento della sua economia?

Per la situazione che si è creata, se i tedeschi decidessero di non crearsi una sorta di cintura di protezione sostenendo la domanda interna, ciò creerà problemi per tutta l’Europa. Per evitare ciò basterebbe che una parte dell’enorme avanzo di partite correnti, di cui la Germania ha beneficiato in questi anni, fosse destinata all’economia interna sotto forma di investimenti massicci.

 

(Pietro Vernizzi)