Nel mese di agosto la fiducia dei consumatori migliora rispetto a luglio passando dal 106,7 al 109, mentre quella delle imprese nello stesso arco di tempo peggiora dal 104,3 al 103,7. Un dato diffuso dall’Istat che secondo il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, dipende dal fatto che «i consumatori stanno beneficiando di una condizione economica migliore rispetto al passato. Mentre le imprese sono più orientate al futuro e temono le conseguenze della crisi delle borse asiatiche».
Perché questa divergenza nella fiducia di consumatori e imprese?
È un dato condizionato dalle incertezze sulla Cina. Mentre la fiducia delle imprese di solito riflette il futuro, cioè quanto l’impresa si attende per il suo fatturato, quella dei consumatori riflette la loro situazione attuale. Alla fine del secondo trimestre 2015 c’è stato un rallentamento della produzione industriale che si è rafforzato nel mese di agosto proprio per le difficoltà dell’economia cinese.
Gli effetti della caduta delle Borse sull’industria sono state così “istantanee”?
Già c’erano un’inversione di tendenza e un segno di stanchezza per quanto riguarda la domanda estera, che si sono osservate nel rallentamento della produzione industriale e del Pil nel secondo trimestre. Non c’è quindi da meravigliarsi che ci sia una flessione nella fiducia delle imprese, mentre naturalmente per i consumatori l’ottimismo nasce da un miglioramento della loro attuale situazione rispetto a quella precedente.
Da dove nasce la stanchezza di cui parlava prima?
Per l’ufficio studi delle Banche popolari francesi, il ribasso del petrolio e il quantitative easing hanno comportato benefici per consumatori e produttori tali da generare un miglioramento del Pil che vale l’1,5%. Ciò fa sì che in Italia, con un Pil al +0,5%, ci sia stato un arretramento dell’1%.
La Legge di stabilità con l’abolizione di Tasi e Imu può risollevare la fiducia di famiglie e imprese?
La legge di stabilità non è stata ancora enunciata, se non nelle dichiarazioni di Renzi e Padoan. Dalle dichiarazioni del ministro dell’Economia si desume in modo molto chiaro che l’Italia non potrà usufruire di margini di flessibilità, in quanto la Germania è contraria. Va tenuto d’altra parte conto del rallentamento della crescita e soprattutto del nervosismo che si è creato nei mercati internazionali per le difficoltà delle Borse asiatiche e per l’andamento negativo del Brasile. C’è quindi un peggioramento di prospettiva per quanto riguarda il tasso di crescita del Pil dell’anno prossimo.
Quindi a maggior ragione va tagliata la Tasi per risollevare l’economia?
No, al contrario questi dati ci dovrebbero indurre alla prudenza per quanto riguarda il debito pubblico. Se non aumenta il Pil, il rapporto debito/Pil rischia infatti di aumentare ulteriormente. Ecco perché la legge di stabilità andrà fatta con l’obiettivo di un rapporto deficit/Pil del 2%, e non del 2,5% come pensava Renzi.
Il taglio del cuneo fiscale, ipotizzato dal governo, può aiutare le imprese?
Anche in questo caso non sono d’accordo. Anzi il taglio del cuneo fiscale è uno degli elementi in base a cui ritengo che la politica del lavoro di questo governo abbia generato una decrescita del Pil. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è sostenuto dagli incentivi. La novità che comporta questo contratto rispetto alla situazione precedente è effimera e limitata.
Per quali motivi?
Se un’impresa volesse licenziare i lavoratori mentre sta godendo di questi benefici, la conseguenza sarebbe una grande ondata di proteste. Le rigidità del contratto di lavoro si combattono del resto estendendo i contratti flessibili, e non già creando un nuovo tipo di contratto semi-rigido.
(Pietro Vernizzi)