Il New York Times del 30 luglio ha raccontato in dettaglio i cinque mesi di prolegomeni del negoziato (che non è ancora iniziato) tra Grecia e Unione europea. Ora è documentato, ad esempio, che la Repubblica Federale Tedesca non è stato il “falco”. Lo sono stati, infatti – come anticipato su questa testata -, gli Stati Nordici e quelli mediterranei che hanno effettuato rigorosi programmi di riassetto strutturale senza troppi “salvataggi” e senza troppe “minacce” di far saltare il banco dell’integrazione europea. In particolare, è provato che la proposta di una “sospensione” della Grecia dall’euro non è stata formulata dal ministro tedesco delle Finanze, ma dalla piccola Slovenia, la quale dopo mezzo secolo di economia sovietica ha dovuto fare profonde e dure riforme per essere ammessa prima nell’Unione europea (Ue) e poi nell’unione monetaria.



Tuttavia, basta passare qualche giorno a Berlino per avvertire un senso di stanchezza nei confronti della piega presa non solo dall’unione monetaria ma dalla stessa Ue. L’euro nasce da una proposta francese per “imbrigliare” la Bundesbank dopo il crollo del muro di Berlino nella convinzione che altrimenti i tedeschi avrebbero dato la priorità all’unificazione della Germania con il risultato di forte spesa pubblica da sterilizzare, almeno in parte, con alti tassi d’interesse. Il risultato sarebbe stato che il costo dell’unificazione avrebbe gravato sul resto d’Europa. Ciò si sarebbe in una certa misura neutralizzato con una politica monetaria collegiale (quindi l’importanza della Banca centrale europea). Le ultime crisi, quella “greca” in particolare, hanno mostrato non solo che gli avvertimenti di chi esprimeva perplessità avevano una base economica seria, ma anche nella stessa Repubblica Federale si avverte “stanca inquietudine” nei confronti delle fattezze prese dall’UE, non solo dall’unione monetaria.



Un altro metro è andare a Monaco e Salisburgo (al cui festival si da convegno “la-Germania-che-può”) ad avvertirlo. La “stanchezza” – è questo l’aspetto meno notato in Italia – riguarda non solo i gruppi e i movimenti populisti, ma anche intellettuali che hanno considerato per decenni l’integrazione europea come il metodo per impedire nuovi conflitti armati nel Continente vecchio (e affaticato)

Altrove abbiamo riportato le argomentazioni economiche di Hans-Werner Sinn, direttore del CESifo (uno dei maggiori centri europei di ricerca economica, nonché consigliere speciale del Cancelliere Merkel). Sinn giudica il terzo salvataggio della Grecia un nuovo spreco di risorse, dato che ciascun greco avrà un debito estero di almeno 50.000 mila euro: un fardello troppo pesante per rimettersi sul percorso dello sviluppo. Per Sinn occorre tornate all’accordo europeo sui cambi che funzionò bene dal 1978 all’avvio dell’euro. In Grecia i prezzi dei beni e servizi, dovrebbero subire una svalutazione tra il 13% e il 22% a seconda dei settori. “Non dimentichiamo che in Grecia i salari sono molto più elevati che in Turchia, Romania e Bulgaria – gli ultimi due sono membri dell’Unione europea e hanno i vantaggi del mercato unico”.



Più interessante dei ragionamenti economici di Sinn e di un numero sempre più nutrito di economisti tedeschi, è un saggio di un filosofo anziano e di fama mondiale, Jürgen Habermas. Il lavoro è molto discusso in Germania (nonché del resto d’Europa e in Nord America), ma ignorato in Italia. Si intitola Democracy in Europe. Why the Development of the EU into a Trasnational Democracy is Necessary and How it is Possible (Democrazia in Europa. Perché lo sviluppo dell’Ue in una democrazia transnazionale è necessario e come è possibile) ed è apparso sull’European Law Journal Vol.1, Issue 4 pp.546-557, 2015 .Cosi come è l’Ue non va né avanti, né indietro. Occorre – afferma Habermas – una drastica riforma dei Trattati per viaggiare verso un’Europa con un “doppio sovrano”: gli Stati e i cittadini . Occorre eliminare il deficit di legittimazione di alcune istituzioni (quali la Commissione europea) e avere un “nocciolo duro” fortemente integrato. Il Parlamento europeo dovrebbe avere iniziativa legislativa (ora riservata alla Commissione) e in tutti i campi di importanza critica per l’Ue ci vorrebbe una “procedura legislativa ordinaria” che richieda l’approvazione di due Camere.

 

Sono proposte indubbiamente controverse, specialmente in paesi che hanno abbandonato o stanno abbandonando il bicameralismo. Meritano, però, una riflessione e una discussione. Con un’Ue più democratica anche casi come quello della Grecia avrebbero trovato una migliore soluzione.