Sono passati cento giorni dalla riconferma netta di Luca Zaia alla presidenza della Regione Veneto e dalla fine (almeno apparente) del dream del super-sindaco di Verona, Flavio Tosi: battere nel centrodestra le orme del collega fiorentino Matteo Renzi. Ma al “capodanno” di settembre, i fratelli-coltelli della Lega veneta – ufficialmente in armistizio – tornano a confrontarsi su un terreno diversamente politico: quello della grande finanza e delle grandi infratsrutture. E qui il gap elettorale fra Zaia e Tosi sembra lontano, anzi. Banche, autostrade, aeroporti: tre dossier al cui tavolo la Verona di Tosi sembra sedersi con più determinazione, più argomenti, non da ultimo più quattrini.



L’ultimo fine settimana di agosto ha segnato la conclusione del lungo inseguimento della vigilanza Bce alla Popolare di Vicenza e a Veneto Banca. Le rispettive semestrali hanno rivelato definitivamente situazioni di bilancio estremamente difficili: soprattutto a Vicenza, dove proprio le ultime verifiche hanno confermato un corto circuito fra prestiti ai soci e sottoscrizione di titoli para-patrimoniali. Due banche “zaiane”: la Veneto ha base a Montebelluna, entro la roccaforte trevigiana del governatore; la Vicenza del presidente dimissionario Gianni Zonin sembra invece aver fatto una scelta di campo precisa, arruolando negli ultimi giorni come dirigente-lobbyista uno degli spin-doctor di Zaia, il giornalista romano Giampiero Beltotto.



Diversamente da un tempo, tuttavia, Vicenza e Montebelluna sono oggi due fardelli, due fonti di rischio: non diversamente dall’indebitata Fondazione Cassamarca. ormai lontana dal passato ruolo di azionista-chiave di UniCredit. Obbligate a ricapitalizzare (Vicenza ha annunciato un aumento da 1,5 miliardi “senza prezzo base”, con potenziale penalizzzaione totale per gli attuali soci) le due Popolari del Veneto orientale saranno anche costrette a trasformarsi in Spa dalla recente riforma. La loro autonomia è ormai poco più che virtuale e non è facile che possano neppure negoziare una resa onorevole, scegliendosi il partner-acquirente. 



Ben differente la situazione del Banco Popolare: che rimane una delle prime cinque banche italiane e che si profila come il vero baricentro del risiko in arrivo. Bpm e Ubi Banca sono state a più riprese in colloqui con il Banco pilotato da Carlo Fratta Pasini e da Pierfrancesco Saviotti. Obiettivo un super-polo privato del Nord-Italia presidiato da un nocciolo duro misto di Fondazioni (a cominciare dalla Cariverona, sganciatasi dal consiglio UniCredit) e di imprenditori privati. Non sorprende che, quando i giochi si stanno facendo reali, il presidente di Veneto Banca, Francesco Favotto, abbia chiesto udienza a Verona. Dove il sindaco Tosi da sette anni tiene all’assemblea del Banco un intervento key-note, a segnalare un preciso patronage del municipio.

Il primo cittadino scaligero, del resto, è ben allenato a prendere posizioni su temi finanziari. Nel 2009 fu il primo ad attaccare la mini-scalata della Libia in UniCredit e certamente il suo pressing contribuì alla dimissioni traumatiche di Alessandro Profumo.

Nessuno si è stupito, quindi, se nell’ultimo fine settimana sia stato proprio Tosi a rompere il silenzio estivo che aveva accompagnato la notizia della vendita al gruppo iberico Abertis dell’Autostrada Serenissima (Brescia-Padova e Valdastico, che proprio in questi giorni sta inaugurando nuovi tratti). Una storia fin troppo classica di privatizzazione finita fuori Italia, con Intesa Sanpaolo e i gruppo Astaldi e Tabacchi pronti a disfarsi della sezione centrale della A4. Nel 2007 i trevigiani Benetton avrebbero ceduto ad Abertis l’intera società Autostrade se il premier Prodi (che gliele aveva vendute dieci anni prima) non avesse fischiato un brusco stop). Ora Tosi ha buon gioco nell’accusare il governo Renzi di non vigilare sull’italianità di infrastrutture centrali per l’Azienda-Paese: ma non è difficile immaginare che Tosi non si limiti alla semplice polemica politica, ma tenga in serbo interventi di tipo finanziario (ad esempio l’ingresso di investitori locali a fianco di Abertis). 

Non da ultimo l’aeroporto Catullo di Verona è nuovamente centrale: vero outsider fra i due hub intercontinentali di Milano e Venezia, recentissimamente individuati assieme a Roma nel nuovo piano-aeroporti stilato dal ministro Graziano Delrio. Se Bergamo è in via di aggregazione con Linate e Malpensa, se Brescia-Montichiari non è mai decollato, è Verona che può fare la differenza per l’aeroporto “zaiano” di Venezia.