“I segnali per l’Italia sono positivi, ma servono maggiori investimenti e soprattutto misure di stimolo per l’economia del Mezzogiorno”. E’ il commento di Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. L’Inps ha reso noto che tra i primi sette mesi del 2015 e lo stesso periodo del 2014 i contratti a tempo indeterminato nel settore privato sono aumentati di 286mila unità. La Bce di Mario Draghi ha però rivisto al ribasso le stime su Pil e inflazione nell’Eurozona, e la stessa economia di Cina, Brasile e Russia arranca. Abbiamo chiesto al professor Becchetti di aiutarci a leggere questi dati contrastanti.



Professore, la ripresa c’è o non c’è?

L’Italia sta andando meglio, e le stime di crescita del nostro Paese saranno riviste al rialzo probabilmente dell’1%. Quindi una timida ripresa c’è, nonostante il fatto che l’area dei Paesi emergenti in questo momento sia un po’ in difficoltà. Le banche centrali continueranno a tenere i tassi bassi, cercando di dare uno stimolo all’economia. Il punto chiave per l’Italia e per l’Europa è che devono ripartire gli investimenti. Da questo punto di vista è importante anche che nel piano Juncker ci siano stimoli forti agli investimenti attraverso garanzie e partecipazioni in capitale azionario. La ripartenza degli investimenti è una condizione fondamentale ora che i consumi sembrano andare un po’ meglio.



L’Italia da sola può fare di più?

In questo contesto fare di più è difficile. Ciò che possiamo fare è migliorare più rapidamente alcuni fattori-Paese come la velocità della giustizia civile, rispetto a cui siamo tra gli ultimi in Europa. Da questo punto di vista bisogna continuare a risalire posizioni, e quindi a rendere il nostro Paese un luogo più favorevole agli investimenti internazionali. Un effetto positivo potrà venire inoltre dallo stimolo ai consumi attraverso la riduzione delle tasse. Allo stesso tempo è importante lavorare per realizzare alcune infrastrutture come la banda larga.



Per l’Inps i contratti a tempo indeterminato aumentano di 286mila unità. Il Jobs Act sta creando nuovi posti di lavoro?

Sicuramente sta sostituendo i vecchi contratti a tempo determinato con quelli nuovi a tutele crescenti. La creazione di posti di lavoro si deve molto anche alle variabili macroeconomiche, cioè alle dinamiche di euro, petrolio e quantitative easing. Un momento di crescita, anche se timida, come quello che stiamo vivendo può generare nuova occupazione a condizione che il mercato del lavoro sia più flessibile.

Anche i dati sull’economia italiana però sembrano un po’ contraddittori. Secondo lei perché?

Il problema di fondo dell’Italia è che il Paese è spaccato in due. Metà nazione va piuttosto bene ed è agganciata all’Europa del Nord, mentre l’altra metà è completamente bloccata. Sarà fondamentale trovare le condizioni per fare ripartire il Sud, e ciò potrebbe produrre degli effetti molto positivi sulla “media Paese”. La grande sfida è fare ripartire il Mezzogiorno. I dati nazionali sono una media tra un’area che va molto bene e una veramente depressa. Stimolare il Sud può dare un impulso molto importante.

 

Padoan ha parlato di un taglio delle tasse per le imprese del Sud. E’ la soluzione giusta?

La trappola del sottosviluppo nel Sud dipende da numerosi fattori. Per esempio dalla criminalità organizzata e dalla mancanza di infrastrutture, soprattutto strade e ferrovie. E’ difficile risolvere il problema agendo su un solo fattore, però è chiaro che anche il taglio delle tasse può essere un punto di inizio.

 

Maggiori investimenti sono sinonimo di maggiore spesa. E’ davvero possibile?

L’Italia può cogliere il volano del piano Juncker, anche se quest’ultimo non è un piano per gli investimenti pubblici ma soprattutto per stimolare quelli privati. Il problema degli investimenti pubblici resta, in quanto alcuni sono a bassa redditività, e quindi è difficile trovare le risorse finanziarie.

 

(Pietro Vernizzi)