Lo scorso 4 settembre il centro studi Confindustria ha evidenziato, con un documento a firma di Matteo Pignatti, il rischio di una stagnazione secolare dell’economia mondiale.
Fra le principali cause il rallentamento demografico e una debole dinamica della produttività, dovuta ai minori investimenti. Il giorno prima l’Eurostat aveva diffuso una nota di commento (n. 151/2015) all’edizione 2015 “The EU in the world”, nella quale viene analizzata l’Unione Europea in relazione alle principali economie mondiali.
Alcuni indicatori sono eloquenti: l’Unione Europea rappresenta con 506 milioni (dati del 2013) il 7,1% della popolazione del mondo con un peso sul Pil mondiale del 23,7%. Gli altri paesi del G20 hanno una popolazione del 57,2% del mondo ed un Pil del 61,5%: in altre parole il Pil procapite dei cittadini dell’Unione Europea è circa tre volte quella degli altri paesi del G20. Le proiezioni demografiche indicano che la popolazione mondiale crescerà dagli attuali 7,1 miliardi di persone a 10 miliardi nel 2060. L’India, da sola, avrà una popolazione di 1.644 milioni di persone, il 16,5% del totale, sarà il paese più popoloso davanti alla Cina che rimane stabile a 1.313 milioni di persone, pari al 13,2%.
L’ Unione Europea diminuirà invece il proprio peso. Nel 2060 la sua popolazione sarà pressoché invariata a 523 milioni di persone, pari al 5,3 % del totale. Il Pil della Ue prodotto nel 2013 è stato quasi un quarto di quello mondiale, quello degli Stati Uniti si è fermato al 22,2%, quasi quanto prodotto dall’Unione Europea, la Cina ha contribuito per il 22,1% e il Giappone per il 6,5%.
Il vero dato allarmante è l’evoluzione demografica, prevista anche con l’integrazione dei tassi migratori. Nel 2060 il tasso di dipendenza delle persone anziane oltre i 65 anni rispetto alle persone in età lavorativa (da 15 a 64 anni) avrà una accelerazione drammatica. Nell’Unione Europea si eleverà dal 27,5% del 2013 al 50,2%, con un massimo in Giappone e Corea al 73%. Questo significa che mentre oggi in Europa ci sono tre pensionati ogni dieci lavoratori potenziali, nel 2060 avremmo un rapporto di uno a due.
La popolazione degli Stati Uniti – anche per la sua politica di immigrazione selettiva – crescerà da 316 milioni di persone a 417 milioni e il tasso di dipendenza over 65 anni si eleverà dall’attuale 21% al 37,6%, rimanendo comunque il minore dei paesi del G20.
Il tasso di dipendenza delle persone anziane a livello mondiale aumenterà in ogni parte del globo, dall’attuale 12,1% è previsto al 28,3% nel 2060. Un focus particolare riguarda la Cina: la politica dell’unico figlio perseguita nel recente passato e nell’attuale presente, non farà crescere la popolazione nei prossimi decenni, anzi: diminuirà dagli attuali 1.357 milioni ai 1.313 milioni. Per il paese asiatico sarà l’invecchiamento della popolazione il vero problema, il tasso di dipendenza degli over 65 nel 2060 raggiungerà quello europeo (49%) rispetto al 12% attuale.
In definitiva, nei decenni a venire il mondo sarà più popoloso, ma abitato da vecchi. Fra i vari fattori geopolitici, la demografia è il più lento a modificarsi, ed è anche il più resistente alla politica: dipende dalla cultura prevalente collegata a sua volta al livello del welfare.
La prevalenza di anziani fra gli elettori renderà difficile attuare politiche correttive per aumentare la forza lavoro o per la redistribuzione delle risorse e dei redditi a favore delle giovani generazioni, ne è un esempio la levata di scudi dei sindacati e dei pensionati in Italia a qualsiasi nuova riforma sulle pensioni non più procrastinabile. Se si evidenzia che l’aspettativa di vita in Europa negli ultimi 50 anni è aumentata di oltre nove anni e l’età pensionabile non si è adeguata all’aumento dell’aspettativa di vita – con implicazioni conseguenti sul costo del welfare – non possiamo meravigliarci dell’aumento dei deficit statali europei.
In conclusione, l’invecchiamento della popolazione mondiale provocherà una riduzione della crescita potenziale e sarà responsabile del continuo aumento dei debiti sovrani dei paesi dell’Unione, un dato del quale dobbiamo essere consapevoli. Essere vecchi vuol dire anche avere avversione al rischio e quindi all’innovazione e dall’investimento; le persone anziane consumano quasi solo servizi (sanità, turismo, assistenza) e non beni voluttuari e tecnologici, va da se una contrazione della domanda a livello mondiale.
Le soluzioni proposte da Confindustria per il nostro paese sono coerenti con lo scenario economico generale presente e prospettico: occorre stimolare gli investimenti e l’attività di ricerca e sviluppo, procedere a riforme strutturali e focalizzare l’attenzione verso una politica industriale nei settori più avanzati tecnologici.
Non vi sono alternative se non quelle di investire ora, per la modernizzazione tecnologica dell’economia del nostro paese, finalizzata all’aumento della produttività, pena un declino irreversibile.