Venerdì corso Standard & Poor’s ha declassato a “spazzatura” i titoli del Tesoro brasiliano: solo pochi anni fa il Brasile, con la Cina e l’Unione europea, veniva indicato tra i Superpower (si era nel 2009) che avrebbero sostituito gli Stati Uniti (allora nel momento peggiore della crisi finanziaria) come leader dell’economia e della politica mondiale. Sic Transit Gloria Mundi! Ma in questo caso la transizione è stata rapidissima. La Cina (altro concorrente alla palma di Superpower) è travagliata da una profonda crisi economica (e politica interna) di cui gli aspetti valutari sono i soli che ci è dato a vedere. E l’Ue è alle prese con un tremulo e incerto recupero dopo anni di stagnazione, e con il rischio di cadere in un’altra recessione se non si riescono a tenere a bada gli sconvolgimenti dell’economia mondiale (migrazioni, trambusto in Estremo Oriente, disordini nelle vie degli oli combustibili e via discorrendo).
Il Brasile è stato uno dei protagonisti nella creazione, nel 1999, del Gruppo dei 20 (o G20), un forum, non una vera e propria istituzione, dei Ministri economici e dei Governatori delle Banche centrali dei 19 Paesi più industrializzati (quelli del G8 in primis) con l’eccezione di Spagna, Paesi Bassi e Svizzera. È presente, inoltre, l’Ue. I testi ufficiali dicono che venne creato, dopo le crisi debitorie degli anni ‘80 (principalmente in America Latina) e della seconda metà degli anni 90 (in Asia), per favorire la cooperazione economica e finanziaria internazionale, tenendo conto delle economie emergenti.
In effetti, il G20 è stato pensato come palliativo per ritardate la riforma degli organismi di Bretton Woods ove i fondatori (Usa e Ue) hanno un peso spropositato negli organi di governo e di gestione. Il G20 rappresenta i due terzi del commercio e della popolazione mondiale, oltre all’80% del Pil. Anche il G20 economico e finanziario è, per così dire, il vertice del sistema: sono i proliferati i G20 in una vasta gamma di materie (lavoro, ambiente e chi più ne vuole le aggiunga). Occasioni per viaggi in lande esotiche e per sentirsi per uno o due giorni al centro del mondo che “crede di contare”.
Cos’ha prodotto questa allegra brigata che ora vuole dotarsi di un Segretariato permanente dato che nelle situazione attuale il Presidente di ogni riunione fissa l’agenda e non esiste un lavoro di staff? Molti comunicati e molte “dichiarazioni di Ministri”. Ma per il resto poco o nulla. L’esempio più eclatante è il G20 economico e finanziario tenutosi ad Ankara il 4-5 settembre, ossia subito dopo la svalutazione cinese e mentre gran parte del mondo (anche Ministri presenti alla scampagnata) imploravano gli Usa di non aumentare i tassi, mossa che avrebbe potuto accendere una guerra valutaria.
Nella dichiarazione finale, i ministri dell’Economia e delle Finanze e i Banchieri centrali del G20 hanno firmato un documento in cui si dice che “la politica monetaria diventerà più restrittiva in alcuni dei Paesi avanzati”. Il riferimento è una benedizione implicita alla Federal Reserve e alla Bank of England che non fanno mistero delle loro intenzioni di aumentare gradualmente i tassi. Nessun cenno ai problemi del bacino del Pacifico. Perché i leader europei, anche quando vogliono, non sanno farsi sentire al G20.
Lo spiega uno studio ancora inedito The European Union’s Role in the G20 firmato da vari specialisti di istituzioni europee: Neils Blokker e Stefaan Van Der Bogaert dell’Università di Leiden, Armin Cuyversklauheine dell’Università di Rotterdam, Christophe Hillion di Leiden, Jaroslaw Kantorowicz di Rotterdam, Hannes Lenk di Goeteborg, René Repasi di Heidelberg. Lo spiega ancora di più il fatto che l’Ue ha 5 su 24 seggi nel Consiglio d’amministrazione del Fondo monetario internazionale (e della Banca mondiale).
Sarebbe più razionale riformare le istituzioni di Bretton Woods (Fondo e Banca) che dare un costoso e inutile contentino a chi si è sognato di essere il futuro Superpower. E si sveglia dopo essere caduto dal letto, con le conseguenti ammaccature.