Chiunque oggi abbia nelle mani il destino del sistema bancario italiano, sia esso a capo di una grande banca nazionale o di una piccola cassa locale, non è in una posizione comoda. A memoria una delle più scomode. Costretti a concentrarsi sulle vicende domestiche, i banchieri nostrani corrono a tappare i buchi nella diga: la redditività insufficiente, lo smaltimento di elevatissime sofferenze, le versioni diverse di Bad Bank, respinte dalla Bce. Saranno anche obbligati ad auto-tassarsi per versare capitale nel veicolo che acquisirà banche in crisi per salvare la reputazione della categoria, come ha spiegato il Sole 24 Ore il 4/9 (“Holding salva-banche da 1,5 miliardi” a conferma delle perplessità sollevate nel mio articolo del 22 luglio). Potrebbero non avere notato sulla stessa testata il giorno precedente un titolo minaccioso: “Se Apple fa concorrenza alle banche”. Uno dei primi articoli sulla grande stampa che descrive il rischio della totale implosione del sistema secolare dei pagamenti e del credito, aggredito da una pletora di operatori planetari e giganteschi (Facebook, Google, Amazon, Apple…) che mai avevano offerto servizi finanziari o di startup velocissime e agguerrite, entrambi ugualmente minacciosi. Minacciosi perché dotati di un capitale di fiducia dai propri utenti che supera di molto quello delle stesse banche (un dato sorprendente ma confermato da ricerche Usa), di una tecnologia nettamente superiore e di una capacità innovativa e manageriale che sembra essere senza limiti.
Per le banche, che hanno rallentato l’innovazione per seguire urgenze domestiche, il rischio è di perdere di vista il fenomeno di rapida disgregazione dei servizi finanziari già in corso per effetto di operatori sbucati dal nulla. Nuovi concorrenti che si sono impadroniti in pochi anni del sistema dei prestiti alle piccole imprese, agli studenti, ai privati sfruttando tecnologie, velocità, capacità di usare il web per connettere creando mercati finanziari digitali. È il nuovo pianeta del fintech diventato nel mondo anglosassone l’incubo delle maxi-banche, la nuova fonte di proposte delle società di consulenza, un pianeta che esibisce tassi stratosferici di crescita, moltiplica le piattaforme, sottrae clienti e aree d’affari agli sportelli tradizionali. Se i timonieri delle banche italiane non cominciano a leggere e prendere seriamente questi eventi da oltreoceano potrebbero avere amari risvegli.
Cosa sta succedendo? Dove si trova il perno del cambiamento su cui fa leva la trasformazione più profonda mai avvenuta del sistema bancario e perché il sistema bancario non è immune? La crisi economica planetaria ha scatenato le forze dell’economia della condivisione (sharing economy) nella quale oggetti, tempo e spazio non utilizzati sono offerti e affittati: i posti vuoti in auto diventano il business di Blablacar, gli appartamenti temporaneamente disponibili sostituiscono stanze di hotel grazie alla piattaforma web di Airbnb (Usa), studenti e disoccupati consegnano cibo sulle loro auto connesse da Uber, fanno piccoli traslochi o montano i mobili di Ikea a Seattle o Boston grazie alla piattaforma di TaskRabbit.
Secondo detonatore la disponibilità di tecnologia a un costo che si riduce esponenzialmente ogni anno, sfruttando il cloud e i server affittati da Amazon Web Services. Terzo elemento le piattaforme social, che hanno oggi molti più clienti delle grandi catene retail e dei clienti sanno leggere i gusti e i comportamenti senza incontrarli fisicamente. La miscela composta da sharing-economy, tecnologia low-cost, e-commerce e gestione di grandi community di utenti è assolutamente esplosiva e in grado di sovvertire ogni settore. Le regole del gioco sono totalmente cambiate e per sempre.
Anche il settore bancario non è più protetto da nuovi concorrenti, anzi è vulnerabile perché è lento e goffo. Il suo gigantismo, la sua potenza, i suoi costosi mainframe e complessi software una volta erano barriere all’ingresso nel settore, oggi sono diventati limiti e debolezze.
Se Uber e Airbnb non possiedono né le auto, né le case che affittano può esistere una banca senza capitale o reti di sportelli? I molti casi di successo (Lending Club, Prosper, Funding Circle…) dimostrano che già ora è possibile. ApplePay, PayPal e Square stanno risucchiando enormi flussi e profitti dal sistema dei pagamenti. I giganti bancari sono aggrediti da una molteplicità di nuovi operatori, dagli Usa alla Cina all’Australia; i consumatori e le imprese trovano facilmente su internet i migliori servizi finanziari, cercano nelle piattaforme semplicità e velocità disaggregando e ricomponendo a piacimento il menu di servizi di cui hanno bisogno senza più fare tutto con una sola banca e ottenendo un’esperienza digitale di grande soddisfazione.
Combattere i nuovi operatori sul loro terreno fatto di tecnologia, agilità e dedizione maniacale al servizio al cliente non sarà semplice per un settore che ha sempre dato per scontato il monopolio dei clienti. La profezia del 1994 di Bill Gates (“i servizi bancari sono essenziali, le banche non lo sono”) si sta avverando 20 anni dopo.