La Germania ha dovuto sborsare l’8% del suo Pil per puntellare le sue banche semiaffondate dalla finanza derivata: ben di più del 4,8% dell’impegno medio dell’Eurozona, dove i paesi più virtuosi – anzi: virtuosi in assoluto – sono stati Italia e Francia (0,1% di Pil in aiuti pubblici a banche e banchieri).



La fonte è la Bce: insospettabile al massimo, quindi perfino un po’ sospetta (e lo scriviamo anzitutto perché non abbiamo mai perso neppure un briciolo di stima per l’onesta intellettuale del presidente Mario Draghi) . La data scelta per pubblicare lo studio non è certamente banale: sono trascorsi sette anni esatti dal fallimento di Lehman Brothers, ground zero della crisi finanziaria globale. La radiografia dell’Eurotower – che da poco meno di un anno è anche responsabile della supervisione creditizia in Eurolandia – non corrisponde del tutto alla “narrazione” corrente su Pigs e non-Pigs in Europa.



Se Grecia e Irlanda sono oltre il 22%, se Cipro è oltre il 19%, a Slovenia sopra il 18% e il Portogallo all’11%, fra il 2008 e il 2014 è stata la super-Germania il “big” dell’euro a dover mettere più mano al portafoglio per tappare le falle apertesi in un sistema bancario ben poco all’altezza del rigore che proprio i falchi tedeschi pretendono altrove. E l’Olanda (quella di Abn Amro alla conquista di AntonVeneta)? Al 5,5%, mentre l’Austria è all’8,4%. La Spagna se la cava con un 5%, ma l’impressione è che non comprenda gli aiuti prestati da altri Paesi dell’eurozona (tra cui l’Italia, fra l’altro terzo creditore della Grecia). Per di più la Bce lamenta che più della metà del monte-aiuti è ancora da recuperare (“uno standard basso al confronto internazionale”) mentre l’aumento del debito pubblico Ue negli ultimi sei anni è da attribuirsi anche a questa “bolla” di salvataggi e sostegni.



È inutile che rifacciamo la lista di tutte le occasioni nelle quali – negli stessi anni – le banche italiane, lungi dall’essere “aiutate” dal proprio Stato o dall’Unione europea – sono state sistematicamente premute, vessate, discriminate. Obbligate a subire gli attacchi speculativi sul proprio debito sovrano; interpretazioni sperequate di regole di vigilanza; ordini di ripatrimonializzazione “qui e ora, tutto subito”; austerity “ad nationem”, come quella sbandierata la settimana scorsa a Roma dalla commissaria all’Antitrust Margrethe Verstager (danese in quota tedesca), sulla bad bank che Tesoro e Bankitalia ritengono praticabile e necessaria.

La vera “bad bank” continua ad essere la Commerzbank, ex nobile del sistema bancario tedesco: da sei anni controllata al 25% dal governo Merkel. Nel frattempo il Tesoro italiano ha visto rimborsati da un pezzo i Tremonti-bond sottoscritti per pura precauzione presso alcune grandi Popolari. 

E ci ha pure guadagnato. Ma nessun giornale tedesco scriverà una riga sullo caso di successo di un sistema bancario che si è salvato senza aiuti pubblici: agganciando alla propria scialuppa anche l’ex quarta banca tedesca (Hvb) e la prima austriaca (BankAustria) che sarebbe colate a picco il primo giorno. Tre aumenti di capitale presso i soci e il mercato e il cambio di un top manager di nome Alessandro Profumo per UniCredit: quale grande banca tedesca ha superato così la grande crisi?