Il rialzo dei tassi non c’è stato. Ma le sorprese non sono mancate. La Federal Reserve ha deciso di rinviare l’aumento del costo del denaro. A quando non si sa. La maggior parte dei membri della banca centrale Usa, ha detto Janet Yellen, è favorevole a un aumento entro il 2015, ma non manca una corrente che vorrebbe rinviare l’operazione più in là.
Ma la vera sorpresa sta nelle motivazioni. Per la prima volta nella storia la banca centrale americana al termine della sua riunione ha spiegato la sue decisioni con “gli sviluppi internazionali”. Ovvero, la banca centrale ha scelto di non muoversi per la situazione turbolenta in Cina e nei mercati emergenti. Per i mercati questo significa che “la banca centrale sa qualcosa che noi non sappiamo”. In altri termini, la sensazione che le cose in Cina vanno peggio di quel che non emerge dai dati a disposizione dei mercati. La Fed, insomma, ha agito in base di preoccupazioni sistemiche, che vanno al di là dei problemi economici.
“È inevitabile che la Fed sia stata costretta, da banchiere del mondo, a prender atto che l’America influenza il mondo così come ne viene influenzata”, commenta Fabio Scacciavillani, capo economista del fondo sovrano dell’Oman. “Non è una novità assoluta. Ricordiamoci che nel 1998 – continua – quando ci fu la crisi russa, Bill Clinton disse che quello era uno dei momenti più gravi per gli Stati Uniti. Idem per la crisi messicana del 1994”. Anche in quei frangenti, però, la Fed ha sempre affermato di voler operare solo in base alla situazione americana. “Già, ma quegli episodi, in termini di grandezza, impallidiscono di fronte a quello che potrebbe succedere in Cina, Brasile, Corea. Le interazioni sono molto forti, non fosse che per l’effetto diretto sul dollaro”.
A confortare questa tesi contribuisce l’esito del voto. Nove membri del Fomc hanno votato per il rinvio dell’aumento contro un solo “falco”, Jeffrey Lacker, governatore di Richmond. Come mai almeno quattro banchieri hanno cambiato idea negli ultimi giorni? Quali informazioni hanno spinto i falchi a trasformarsi in colombe?
Il quadro d’assieme dell’economia americana, al contrario, sembra deporre senz’altro a favore di un aumento del costo del denaro, fermo da sette anni. Il tasso di disoccupazione, oggi al 5,1%, è destinato a calare ancora nel 2016. La crescita è destinata ad accelerare. Solo l’inflazione bassa, condizionata dal calo dell’energia, consigliava di prender tempo. Ma sullo sfondo resta la necessità di avviare un processo di drenaggio dell’enorme liquidità accumulata dalle varie iniezioni di denaro praticate in questi anni. Ma queste considerazioni sono state spiazzate dalla turbolenza dei mercati finanziari innescata dalla crisi cinese scoppiata ad agosto.
Come hanno reagito i mercati? Risale, ma non di molto, l’euro sul dollaro. Arriva una boccata d’ossigeno per i listini dei mercati emergenti. Salgono le Borse del Messico e del Brasile, assieme al real. La Borsa turca, già in ribasso di mezzo punto, è passata in terreno positivo. In rialzo ma non troppo Wall Street, che s’avvantaggia del mancato aumento (comunque previsto), ma non guarisce dall’effetto volatilità destinata a durare fino a dicembre o, magari, al prossimo marzo. Dall’altro canto pesa l’incertezza sulla situazione internazionale. È probabile che questi fattori condizioneranno anche la seduta delle Borse europee oggi che dovranno fronteggiare anche gli effetti del rialzo dell’euro sul dollaro.