Tra qualche giorno o al massimo tra qualche settimana si ricomincerà a parlare di “luce in fondo al tunnel” e di indicatori che segnano un’uscita da quelle che ormai viene definita la “grande crisi mondiale”. Verrebbe da ridere se la situazione non fosse ormai più che drammatica. La “candida” presidente della Fed, Janet Yellen, non ha rialzato il tasso del costo del denaro, che resta tra lo 0 e lo 0,25 per cento, da sette anni a questa parte, ribadendo così che l’economia mondiale è ancora in una situazione di emergenza. La ripresa in fatti è fragile e contraddittoria, con il rischio di deflazione e di inevitabile depressione, con una massa di denaro di viene stampata dalle banche centrali ma che non riesce neppure a creare un’inflazione rassicurante.
Questo è il risultato della crisi del 2007-2008, che arrivò dopo la grande cartolarizzazione dei titoli diventati tossici operati dal sistema bancario e finanziario liberalizzato e si trasformò, improvvisamente a parere di media e circoli di “grande prestigio”, in crisi dei debiti sovrani.
E pensare che la crisi del 2008 doveva essere risolta, secondo alcuni noti commentatori, nel “giro di due mesi”. C’è un fondo al proposito di Francesco Giavazzi dell’agosto del 2008 sul Corriere della Sera. E non mutando le regole della finanza mondiale iper-liberalizzata: la cosiddetta “mano invisibile” dei mercatisti neoliberisti avrebbe sistemato tutto ugualmente nel giro di poco tempo.
Il neoliberismo è diventato talmente impregnante e vincente che il già citato Giavazzi, con il fidato Alberto Alesina, ha scritto un libretto “aureo” per cui essere liberisti significa oggi essere la vera sinistra. Così, plotoni di post-comunisti italiani, ad esempio, sono passati da Breznev a Malagodi senza fare una piega.
Il problema che però si trovano di fronte questi signori è che oggi, dopo l’ultima decisione della Fed (che probabilmente verrà ribadita per tutto il 2015), siamo ormai dinanzi alla crisi più lunga della storia dell’economia moderna e non si sa bene, realisticamente, quando se ne potrà uscire.
Il moloch finanziario messo in piedi a partire dalla metà degli anni Ottanta si basa principalmente su sei punti: eliminazione dei controlli sul credito; deregolamentazione dei tassi d’interesse; libertà d’ingresso nel sistema bancario o, più generalmente nell’industria dei servizi finanziari; autonomia delle banche; proprietà privata delle banche; liberalizzazione dei flussi internazionali di capitale.
Nell’operazione di liberalizzazione della finanza ai due lati dell’Atlantico, lungo le sue varie dimensioni, al punto di assicurare il dominio sull’intera economia, Europa e America si sono divise le parti. Nel frattempo è accaduto di tutto: aumento della disoccupazione in alcuni paesi a livelli impressionanti, crescita stentata del Pil, lenta erosione del welfare in zone dove è nato come l’Europa, crisi drammatica di alcuni Paesi, sacche di povertà e e livelli di disuguaglianza sociale ed economica che sono paragonabili a quelli che esistevano prima del 1850.
Intanto la finanza non si cambia. Resta immutabile e intoccabile. E la politica? Sta a guardare.