Si è dimesso l’amministratore delegato di Alitalia, Silvano Cassano. Non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo, ma è bene comprendere, aldilà dei proclami dell’azienda, perché questo sia potuto succedere. Alitalia ha dei problemi e negarli non è serio. Il primo trimestre dell’anno ha chiuso con un Ebitdar – vale a dire i ricavi meno i costi esclusi interessi, tasse, deprezzamenti, ammortamenti e costi di rentals – in negativo del 14,3%. Le perdite per ogni passeggero trasportato sono state pari a 18 euro. Per ogni biglietto emesso, Alitalia perdeva soldi. È chiaro che il primo trimestre dell’anno è quello più problematico in generale nel settore aereo, ma queste performance non sono certo positive. Il numero di passeggeri è stato solo di 4,5 milioni nel trimestre. Per fare un paragone, Ryanair ogni mese trasporta circa 9 milioni di passeggeri.
Cosa sta succedendo? Rispetto al piano industriale c’è soprattutto un problema di ricavi e non di costi. Cassano è stato in grado di mantenere i costi sotto controllo, tanto che il costo per posto chilometro offerto è stato di 7,2 centesimi. Sono i ricavi che arrancano, probabilmente inferiori del 15% rispetto a quanto preventivato. I ricavi non arrivano per un motivo relativamente semplice. Alitalia ha la concorrenza in casa e per casa s’intende l’aeroporto di Roma Fiumicino.
Adr, la società che controlla lo scalo romano, ha aiutato lo sviluppo dei vettori low cost negli ultimi mesi. Il numero di voli settimanali aggiuntivi da parte delle compagnie a basso costo per la stagione estiva che si sta concludendo è stato superiore a 200. Un valore enorme, secondo solo a tutto il sistema londinese. Una competizione che fa molto male ad Alitalia, che in questo modo non riesce più a riempire i propri aerei.
Il modello del piano industriale spinto da Etihad, tra le altre cose l’unica opzione possibile, prevedeva un hub and spoke forte su Roma Fiumicino. Un passeggero che da Palermo vuole andare verso Seul non troverà mai un volo diretto per raggiungere la destinazione asiatica. Dovrà prendere un volo a corto raggio verso Roma e da lì ripartire con un volo a lungo raggio verso la capitale coreana. La domanda non è infatti sufficiente per riempire dei voli da Palermo a Seul, però con il sistema hub and spoke, Alitalia riusciva a riempire il volo tra Roma e Seul anche grazie a clienti che arrivavano da altre destinazioni come Palermo.
Alitalia si trova una forte competizione da parte delle low cost proprio in quei voli a corto raggio e poco può fare per reagire. Le low cost sono più efficienti e si sono mangiate quote di mercato. E così facendo Alitalia non riesce a riempire i suoi voli intercontinentali e di fatto vede un crollo dei ricavi.
Cosa deve fare Alitalia? Ogni speranza è persa? La compagnia ha dalla sua la partnership con Etihad, che può aiutare nell’acquisto di aerei a lungo raggio (che costano anche più di 200 milioni di euro l’uno) e nello sviluppo del proprio network. Tuttavia Etihad continua ad avere il limite di non potere superare il 49% delle quote azionarie, pena la perdita da parte di Alitalia della licenza comunitaria necessaria per operare liberamente in Europa.
Le ipotesi sono due: da un lato spingere l’Unione europea verso una maggiore apertura nei confronti di azionisti stranieri. Questa opzione è tuttavia quasi impossibile vista l’opposizione dei grandi vettori europei. La seconda opzione per Alitalia sarà quella di fare comprendere ad Adr che solo la compagnia di bandiera sarà “IL” partner del futuro. Per fare ciò sarà necessario che i soci italiani di Alitalia facciano subito un aumento di capitale per rilanciare la compagnia e dare un segnale forte ad Adr.
Solo in questo modo Alitalia potrà sopravvivere alla concorrenza delle low cost: una più stretta relazione con Adr. Quello che non è riuscito a fare Cassano, molto probabilmente.