Confindustria incoraggia il governo, la Bce gli tira le orecchie. Da un lato il Centro studi dell’associazione confindustriale ha rialzato le stime del Pil, prevedendo un +1% per il 2015 e un +1,5% per il 2016. Un dato migliore rispetto a quello che era stato pubblicato a giugno, quando le previsioni erano state rispettivamente del +0,8% e del +1,4%. Ma soprattutto più ottimistico delle stime dello stesso governo, che per il 2015 prevede un +0,9%. La Bce invece è intervenuta con una nota dal tono ben diverso, in quanto ha richiamato i governi di Italia, Belgio e Francia a utilizzare i risparmi da minori interessi “per ridurre il deficit” anziché per accrescere la spesa. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Quanta attenzione deve porre il nostro governo a questo richiamo della Bce?
Questa raccomandazione rientra nel ruolo della Bce. Se però la spesa è caratterizzata da un moltiplicatore elevato e produce crescita, allora questo ragionamento non ha senso. Non bisogna guardare solo al deficit in sé, ma anche al rapporto deficit/Pil. Questo rapporto si riduce se il Pil cresce più proporzionalmente del deficit. Non è detto in assoluto che tagliare la spesa riduca il rapporto deficit/Pil. Bisogna sempre ragionare di quale spesa parliamo, e quale sia il suo impatto moltiplicativo.
In termini economici quali effetti produce il taglio del deficit?
Da questo punto di vista occorre compiere un ragionamento in termini di benessere. Va bene se si toccano gli sprechi, ma bisogna anche vedere se questi sprechi finanziano la domanda interna o le imprese nazionali. Se per esempio si va a toccare la possibilità dei cittadini di fare analisi mediche, allora l’impatto sul benessere che include anche salute e aspettativa di vita può essere negativo.
Per il nostro governo quello della Bce è un richiamo vincolante?
Dipende tutto da una trattativa interna. Il governo lo deve rendere non vincolante, cioè deve mantenere un equilibrio tra tutela del welfare e politiche per la sostenibilità e la riduzione del debito. Non si può quindi dare una risposta in astratto, ma bisogna guardare le singole voci di spesa.
Renzi riuscirà a spuntare i miliardi di maggiore flessibilità come ha annunciato?
Questo dipenderà dalle trattative. Il governo può mettere sul piatto il fatto di avere realizzato gran parte delle riforme che chiedeva l’Ue, fornendo l’immagine di un’Italia che si sta muovendo. Il nostro inoltre è uno dei pochi Paesi rimasti sotto al 3%, mentre per esempio la Francia sta seguendo una dinamica completamente diversa. Nell’Ue non si possono fare due pesi e due misure, né ci possono essere Paesi sotto esame e altri che ne sono esentati.
Per Confindustria il Pil italiano crescerà dell’1% nel 2015. Perché è più ottimista dello stesso governo?
Come ha detto spesso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il governo è necessariamente cauto. La reputazione di un governo sta nel fatto di sorprendere in positivo gli analisti, piuttosto che in negativo. Meglio peccare per eccesso di prudenza che per eccesso di ottimismo. L’idea è quindi sempre quella di fare una previsione più bassa, per poi creare una sorpresa al rialzo.
Come si spiega invece il dato di Confindustria?
Confindustria da parte sua vede che l’economia si sta riprendendo più rapidamente. Io stesso ritengo che la stima più esatta sia quella di un +1%, anche se in modo diverso a seconda delle aree del Paese. Il dato nazionale è una media tra Nord e Sud, ma è chiaro che ci sono delle aree che trainano e altre che sono più indietro. Il Centro-Nord è quindi sicuramente intorno all’1%, mentre bisogna vedere come risponderà il Sud.
Che cosa è cambiato rispetto a giugno, quando le stesse stime di Confindustria erano più pessimistiche?
Gli effetti di prezzo del petrolio, ribasso dell’euro e quantitative easing si sono manifestati con una certa lentezza. Le persone devono ritrovare confidenza, vedere che c’è uno scenario futuro stabile, e allora cominciano a riprendere fiducia e a investire.
(Pietro Vernizzi)