L’autunno caldo del Credito cooperativo è puntualmente cominciato. Sabato a Bologna il presidente della Cassa Centrale del Nordest, Giorgio Fracalossi, ha iniziato un roadshow autonomo, convocando alcune decine di Bcc sparse in varie regioni italiane. Ha presentato un suo progetto di gruppo costruito attorno alla Cassa trentina: realtà storica, pesante e strutturata nel Credito cooperativo italiano; anche se naturalmente non unica.



L’iniziativa di Fracalossi – che presiede l’intera Cooperazione trentina – era per molti versi attesa. Non è mai stata un mistero la freddezza della federazione trentina verso il percorso di autoriforma del Credito cooperativo sollecitato da Governo e Banca d’Italia. Un’autoriforma che ha assunto un profilo concreto nel progetto che il consiglio nazionale della Federcasse – in cui sono rappresentate tutte le 15 federazioni regionali e quasi tutte le 370 Bcc italiane – ha approvato a larghissima maggioranza a fine luglio, indirizzandolo ora a Tesoro e Parlamento per l’approvazione.



Com’è noto, il progetto muove su due guidelines: una riforma della governance delle singole Bcc (oggetto della nuova regulation in arrivo dal Parlamento) e l’evoluzione del Credito cooperativo verso una struttura a gruppo. L’obiettivo strategico è il rilancio di alcune parti del Credito cooperativo in sofferenza dopo la crisi finanziaria globale e la lunga recessione italiana e la creazione di una realtà bancaria competitiva, allineata ai migliori standard anti-rischio richiesti dalla nuova vigilanza Bce.  Le Bcc – nel disegno – vengono inserite in un network di “auto-vigilanza reciproca” (secondo nuovi criteri di “meritevolezza”) e – come hanno suggerito le autorità monetarie italiane ed europee – si dovranno riferire a una nuova capogruppo: una Spa con capitale aperto al mercato (Borsa, investitori istituzionali e partner strategici) al fine di dotare il Credito cooperativo italiano di un accesso diretto a capitali utili a dare solidità all’intero comparto.



Al termine del confronto appena concluso fra Federcasse, Tesoro e Bankitalia, è pacifico che la nuova capogruppo avrà come azioniste di controllo realtà del Credito cooperativo. E se l’Iccrea (istituto centrale di categoria) può essere – in ipotesi di lavoro – l’incubatore della nuova capogruppo, il vertice Federcasse ha garantito la massima apertura a tutti contributi di idee e di risorse presenti sui diversi territori al fine della miglior realizzazione del progetto.

Alla Federazione trentina, con tutta evidenza, la prospettiva continua a non piacere. Di qui la scelta di giocare in contropiede: proponendo direttamente la propria Cassa centrale come capogruppo e aprendo la “caccia all’iscrizione”. È infatti evidente lo natura competitiva della riforma declinata a Trento, con la diaspora tendenziale delle Bcc italiane verso più gruppi. Ed è chiaro anche lo sviluppo inevitabilmente selettivo del processo: con una realtà indubbiamente solida come la Cassa trentina – ma non unica nel Paese – che rompe le righe e richiama singole Bcc o drappelli di Bcc (tendenzialmente le più solide) in altre regioni, lasciando altre Bcc isolate e alle prese con eventuali problemi (il che negherebbe anzitutto lo storico mutualismo costitutivo del movimento).

Sarà curioso registrare anzitutto la risposta delle autorità creditizie al “contropiede” delle Bcc trentine su un progetto di riforma del settore che fin dall’inizio guarda alla stabilizzazione del Credito cooperativo, non certo alla sua polverizzazione: certamente non alla scissione delle Bcc in good e bad, queste ultime lasciate indietro ad allungare la lista delle banche italiane su cui dal prossimo 1 gennaio pende il rischio del bail-in, a spese anche dei depositanti.

Sarebbe altresì interessante osservare quali misure di vigilanza Tesoro e Bankitalia prenderebbero a un singolo gruppo di un centinaio di Bcc con testa e core market nel Trentino e Bcc-filiale in giro per l’Italia. Difficile pensare che questa nuova realtà bancaria possa rimanere distinta da una Popolare e possa sfuggire alla riforma in corso: che esclude la governance cooperativa per le Popolari maggiori e le obbliga tout court alla trasformazione in Spa.

A Bologna, fra l’altro, non è sfuggita la presenza di Lorenzo Bini Smaghi, che i resoconti giornalistici hanno etichettato come “ex membro dell’esecutivo Bce”. In realtà oggi “Lbs” ricopre un altro incarico: è presidente del consiglio d’amministrazione della Société Générale, una delle tre big francesi. Le altre due (Bnp Paribas e Crédit Agricole) contano già su solide presenze in Italia: la prima controlla Bnl, la seconda Cariparma. Ovvio (e legittimo) che SocGen metta subito il cappello sull’incubatrice di una banca privata interregionale basata nel Nord Italia. Ovvio (e in sé legittimo) che le Bcc trentine guardino a un colosso europeo come sponda per forzare il proprio sganciamento dal riassetto nazionale del Credito cooperativo e valorizzarsi in autonomia. Però sarebbe utile – anche per le cooperative trentine – avere chiari presupposti e punti d’arrivo. A cominciare dalla tendenziale estinzione del Credito cooperativo italiano.

Difficile, a questo punto, che non ne parlino deputati e senatori: con tutte le incognite, peraltro, di una politicizzazione della riforma. Ancor più rischioso sarà, tuttavia, se la Banca d’Italia lascerà troppo a lungo incerti i propri orientamenti di vigilanza.