In un’intervista “a caldo” al quotidiano Avvenire (unica testata cartacea che in questi anni aumenta tiratura e vendite), il Direttore del Dipartimento di Economia dell’Università Bocconi, Donato Masciandaro, sostiene che il Presidente della Federal Reserve Janet Yellen è “un capitano senza bussola”. Non si spiegherebbero, altrimenti, le tre settimane di passione (e di tensioni sui mercati) che hanno comportato costi elevati per tutti, tranne che per quegli speculatori puri che, in linguaggio dipietrano, “l’hanno azzeccata”.
Masciandaro offre varie spiegazioni politico-divulgative, tutte valide, ma non entra nelle ragioni tecniche che a mio avviso possono essere illustrate bene a lettori non specialistici. L’analisi tecnica è in un saggio nell’ultimo numero dell’Oxford Bullettin of Economics and Statistics (Vol. 77, No. 5 pp.655-680) che da tempo è sulla scrivania di Janet Yellen. Contiene un’analisi di un economista francese, Paul Huber, che insegna a Sciences Politiques e fa parte dell’Office Français des Conjunctures Economiques. Il saggio è intitolato “The Infleunce and Policy Signalling Role of Fomc Forecasts” (L’influenza e il ruolo nell’indicare politiche delle previsioni del Federal Open Market Committee, Fomc, l’organo di governo della Federal Reserve, quello che decide, tra l’altro, sui tassi).
Huber studia le previsioni macroeconomiche e finanziarie prodotte dalla Federal Reserve, e su cui si basa il Fomc, da quando sono rese pubbliche, nel 1979. Utilizza, a questo fine, un modello econometrico strutturale con lo scopo di analizzare, in primo luogo, se influenzano le aspettative d’inflazione da parte della società e, in seconda battuta, se comunicano segnali di politica economica.
Alla prima domanda la risposta è positiva: le previsioni Fomc incidono sulle aspettative inflazionistiche; si tratta, però, di un’arma a doppio taglio in quanto, per un processo di causazione circolare, le aspettative inflazionistiche e le previsioni Fomc finiscono per influenzarsi a vicenda. Rendendo la bussola meno affidabile. Lo conferma la seconda parte dello studio: negli ultimi quaranta anni, le previsioni Fomc “informano sui futuri movimenti della Federal Reserve” , ma non forniscono segnali utili di politica economica. Soprattutto i tassi di interesse.
Una verifica indiretta si ha esaminando i sette “episodi” americani di restrizioni monetarie dal 1995 al 2007 quando la politica monetaria è diventata espansionista a ragione della crisi dei mutui subprime: sono stati di breve durata e hanno comportato rapide marce indietro alle prime indicazioni di recessione. “Episodi” analoghi si sono verificati in Svizzera e Giappone. La stessa Banca centrale europea, di fronte prima alla crisi dei subprime e poi del debito sovrano dell’eurozona, ha alzato due volte i propri tassi, nel 2008 e nel 2011, per adottare successivamente una politica aggressiva di espansione monetaria quando si è constatato che l’eurozona era in recessione con solo pochi Paesi in moderata espansione. La Svezia nel 2010-2011, a fronte di segnali di inflazione, ha aumentato i tassi di base dallo 0,25% al 2% per effettuare una brusca virata al fine 2011-inizio 2012: oggi ha tassi negativi.
Quali conclusioni tirare? Non certo come diceva lo scettico Oscar Wilde che le previsioni sono difficili unicamente se riguardano il futuro. Il nodo è più serio. Se la stessa Federal Reserve non riesce a “servire” adeguatamente il Fomc, e lo lascia senza bussola, ciò vuol dire che i modelli previsionali non sono stati in grado di incorporare i due grandi cambiamenti dell’economia mondiale negli ultimi decenni: l’integrazione economica e finanziaria e il rapido progresso tecnologico. Dovremmo disporre della bussole più avanzate, ma siamo rimasti a quelle delle caravelle di Cristoforo Colombo per buscar el levante por el poniente.
Un problema molto serio per chi “fa” politica economica.