La decisione della Federal Reserve di non alzare i tassi d’interesse non ha sorpreso i gestori della City. Dalle opinioni raccolte per ilsussidiario.net prima dell’attesa riuniune della banca centrale americana a Washington il 16-17 settembre, era emerso un generale consensus sul fatto che la Fed non avrebbe aumentato i tassi a settembre, ma avrebbe atteso dicembre. Quello che ha sorpreso questa volta, rispetto alle precedenti comunicazioni della banca centrale americana, è stato lo spostamento dell’enfasi sui fattori internazionali rispetto a quelli domestici. Infatti, malgrado i dati sulla ripresa dell’economia statunitense, sulla decisione della Fed hanno prevalso le preoccupazioni per i rischi derivanti dalla turbolenta situazione internazionale e dalla Cina in particolare.



La politica monetaria americana è ora “più sensibile alla situazione internazionale”, dice Neil Williams, chief economist di Hermes Investment Management, aggiungendo che “la Cina importa alla Fed”. Sul fronte interno, sottolinea, la Fed ha detto nel suo statement che “la crescita dei salari non è ancora decollata”. Questa volta, continua Williams, a differenza delle volte precedenti, anche se la Fed cominciasse a rialzare i tassi poco a poco “avremmo ancora davanti a noi altri due anni di tassi d’interesse reali negativi”. In altre parole, l’azione della Fed sarebbe molto più lenta dell’inflazione, spiega. Inoltre, la Fed e la Bank of England alzeranno i tassi “a un livello molto più basso di quanto non usavano fare”. Questo vuol dire che anche se la Fed cominciasse ad alzare i tassi, i growth assets nei portafogli degli investitori – per esempio le azioni – potrebbero ancora beneficiarne in quanto gli investitori avranno denaro dal basso costo (cheap money) da collocare, spiega l’economista.



Anche Daniel Murray, chief economist di Efg Asset Management, nota come la Fed sembra aver cambiato enfasi rispetto alle comunicazioni precedenti, attribuendo “maggiore importanza agli sviluppi internazionali, alla moneta e al comportamento del mercato”. In questo modo, secondo Murray, la Fed “si allontana dalle sue precedenti comunicazioni,” nelle quali dava più importanza ai fattori domestici, confondendo ulteriormente il suo messaggio.

Diversi gestori della City sottolineano come la decisione della Fed abbia aumentato l’incertezza sui mercati finanziari. Per David Kelly, chief global strategist di J.P. Morgan Asset Management, la logica dietro alla decisione della banca centrale americana presieduta da Janet Yellen “suggerisce un più lento aumento generale dei tassi d’interesse, limitando le perdite del mercato obbligazionario e potenzialmente producendo profitti in alcune aree”. Ma l’aumentata incertezza sulla Fed probabilmente farà crescere la volatilità sui mercati e quindi potrebbe limitare i guadagni del mercato azionario statunitense, aggiunge.



Paul Jackson, head of research di Source Etf, dice che la Fed alzerà i tassi di 25 punti base per volta fino a un target del 3%. Ma la mancata azione della banca centrale “terrà i mercati in uno stato di nervosismo nei prossimi mesi,” aggiunge. All’indomani della decisione della Fed, la probabilità di un rialzo a dicembre o prima “è solo al 45 per cento” mentre mercoledì scorso, alla vigilia della decisione, era al 64 per cento, nota Jackson.

“Con un tasso di disoccupazione al 5,1%, il più basso dal 2008, la Fed aveva scuse sufficienti per alzare i tassi se voleva farlo,” aggiunge Murray di Efg. Un aumento avrebbe inviato al mercato un messaggio chiaro circa la sua politica monetaria e avrebbe ridotto l’ambiguità sulla tempistica di future decisioni, spiega. Invece “restiamo nell’incertezza” e le prossime riunioni del Fomc saranno attese con trepidazione in vista di una possibile inversione di politica.

Mentre il Fomc si professa “data-dependent” e focalizzato primariamente sui dati dell’economia statunitense nel processo decisionale, alla fine hanno pesato l’inflazione, che potrebbe ulteriormente subire spinte al ribasso, e l’incertezza circa le prospettive e la turbolenza del mercato globale, dice Kenneth J. Taubes, chief investment officer, U.S., di Pioneer Investments.

L’opinione più gettonata tra gli investitori della City circa le prossime mosse della Fed è che se un primo aumento dei tassi arriverà a dicembre di quest’anno, sarà probabilmente seguito da progressivi piccoli rialzi.  Sarà “un processo lento” fatto di “piccoli passi,” dice Williams, aggiungendo di aspettarsi un aumento da parte della Fed “fino a circa 3 e tre quarti o 4 per cento” da qui a due o tre anni. Secondo l’economista, gli Stati Uniti non hanno perso l’impulso della crescita. Inoltre, l’economia della Cina può ancora crescere e Pechino dispone di “molti bottoni sul suo pannello di controllo dell’economia”. La combinazione di questi due fattori può spingere la Fed ad alzare i tassi a dicembre, conclude Williams.

Per Wouter Sturkenboom, senior investment strategist di Russell Investments, “il primo rialzo, a dicembre, sarà modesto,” ma su quelli successivi “le nostre aspettative sono un pò più aggressive”. Sturkenboom dice infatti che la Fed agirà “in una maniera prevedibile, alzando i tassi ogni tre mesi” e aumentando di “circa l’1% per anno”.

Paras Anand, head of european equities di Fidelity Worldwide Investment, sottolinea come l’attuale attenzione sull’azione della Fed rifletta “un senso di vulnerabilità dei mercati azionari” che sono stati spinti dalle politiche di espansione piuttosto che da una crescita dei profitti e sui quali prevale un crescente nervosismo circa la crescita economica, in particolare quella cinese. In questo contesto, spiega, “un rialzo dei tassi a breve sarebbe visto come un ritiro della liquidità dai mercati” e quindi non come una buona notizia per molti operatori.

Ma quando arriverà il rialzo dei tassi da parte della Fed, quale impatto avrà sui portafogli degli investitori? Eoin Murray, chief investment officer di Hermes Investment Management, dice di scommettere che  l’azionario dei Paesi emergenti soffrirà seriamente per il rialzo.

La strategia d’investimento di Pioneer Investments resta per ora invariata. “Ci continua a piacere l’outlook delle obbligazioni corporate e strutturate, mentre restiamo prudenti sul debito a basso rendimento dei paesi sviluppati, inclusi i U.S. Treasuries,” dice Taubes. Nel mercato a reddito fisso statunitense “continuiamo a vedere opportunità da cogliere nelle obbligazioni corporate e high yield e investment grade”, aggiunge.

Alastair George, chief strategist della società internazionale di consulenza sull’azionario Edison Investment Research, dice che gli investitori attualmente non hanno scelte facili. “La nostra raccomandazione è di resistere alla tentazione di rincorrere il profitto sacrificando qualità o liquidità e piuttosto di gestire i portafogli in modo prudente, almeno fino a quando il declino della crescita globale farà intravedere la prospettiva di un ulteriore allentamento della politica monetaria o le valutazioni azionarie cadono a livelli consistenti con un outlook di lenta crescita dei profitti”.

Storicamente le azioni performano bene nei sei mesi dopo il primo aumento dei tassi, le obbligazioni corporate “outperform” i treasuries americani e i “bonds short maturities” in generale “outperfom” i “long maturities”, nota Paul Jackson di Source ETF. Guy Dunham, head of global aggregate di Baring Asset Management vede aumentare il potenziale d’investimento nell’area dei “Treasury Inflation Protected Securities (TIPS)”, visto che “il Fomc vorrà vedere un rialzo delle attese sull’inflazione prima di agire”. Sarà anche interessante vedere come si muovono le valute nelle prossime settimane, in seguito alla decisione della banca centrale americana, conclude.

Infine, mentre la decisione della Fed di ritardare il rialzo può sembrare una buona notizia per l’azionario globale e gli asset rischiosi in generale, a limitare tale beneficio sarà il motivo del ritardo, per esempio le preoccupazioni sulla crescita globale, sottolinea Michael Metcalfe, global head of macro strategy di State Street Global Markets.